Quantcast
Channel: allenamento | Benessere Sport - Migliora la Mente, il Corpo e lo Spirito!
Viewing all 69 articles
Browse latest View live

I GRANDI LIBRI CHE PARLANO DI ALLENAMENTO SPORTIVO NON SONO I LIBRI CHE PARLANO DI ALLENAMENTO!

$
0
0

allenamento-aerobico

di Giulio Rattazzi

Proprio così: i veri libri che parlano di allenamento non sono quelli che parlano di allenamento, (A) senza togliere nulla a professionisti, scienziati del movimento, se continueremo a rimanere a coltivare il nostro orto senza abbracciare altre conoscenze, la nostra capacità di osservare i fenomeni che ci circondano sarà sempre limitata alle conoscenze della nostra disciplina e solo con grande fatica faremo un passo avanti verso nuovi orizzonti.
Comprendere l’allenamento sportivo vuol dire capire la vita, studiare l’allenamento sportivo non significa studiare il muscolo, la forza ecc., come tanti compartimenti stagno, come avrebbe inteso Pascal, quando dice che:1_Compartimenti stagno

non si può considerare il particolare senza tener conto del globale e non si può considerare il globale senza tener conto del particolare.“(B)

2_complessità
Tutto è collegato, tutto è collegante, nulla è separato; purtroppo la nostra cultura ci ha educati a pensare in questi termini, in maniera riduzionista: con il riduzionismo poniamo maggiore attenzione a come sono fatte le cose, molto meno ci interessiamo di come funzionano le cose.

3_Duck_of_Vaucanson
Le prime righe della definizione di allenamento sportivo di Pasquale Bellotti recitano: “… l’allenamento sportivo è un processo educativo complesso …“.
Una lettura poco attenta potrebbe indurci a sorvolare su quanto sia profonda e pregna di significati tale definizione. In realtà i termini: processo educativo complesso custodiscono l’essenza dell’allenamento sportivo, un nuovo paradigma è all’orizzonte, una nuova chiave di lettura rivoluziona il modus operandi dell’allenatore. Per fare tutto ciò si richiede uno sforzo, uno sforzo e una volontà ad abbandonare le ormai vecchie concezioni sull’allenamento sportivo; tutto questo implica sofferenza, implica dolore, c’è bisogno di abbandonare le nostre certezze per intraprendere la strada dell’incertezza, ma il più grande errore che si possa fare è rimanere bloccati nella vecchia concezione che abbiamo di allenamento. Che piaccia o no, l’allenamento sportivo non risponde a leggi Newtoniane di causa-effetto oppure, in altri termini, non risponde allo stimolo-risposta di Pavlov e lo sforzo consiste proprio nell’uscire dal meccanicismo e dal riduzionismo di cui l’allenamento è pregno, essendo il concetto di allenamento figlio di ideologie ormai morte e sepolte.

5_Stimolo-risposta

Sbagliare è umano, perseverare è diabolico o meglio perseverare è stupido. Solo ripensando all’allenamento in una chiave di lettura nuova possiamo uscire dalla trappola in cui siamo caduti, che vi piaccia o no, ma la strada non è tracciata da programmi, bensì da strategie.
Come direbbe Antonio Machado: “Caminante no hay Camino“. Non c’è una strada segnata, la strada si fa con il cammino, mentre si cammina si traccia il percorso.

6_Cammino
L’allenamento è complesso“, ma cosa vuol dire “è complesso”? Complesso non vuol dire complicato … un orologio è complicato.

orologio
L’organismo non è complicato, ma appunto complesso; la sostanziale differenza consiste nel fatto che qualcosa di complicato, come ad esempio l’orologio, può essere smontato in tutte le sue parti per poi essere ricostruito nella sua totalità, quindi il totale è la somma delle parti. L’organismo invece possiede altre caratteristiche: le parti dell’organismo sono collegate fra loro in uno stretto legame di interdipendenza, l’organismo non può essere scomposto; la somma tra la parti, costituita proprio da collegamenti o e da interdipendenze, restituisce entità maggiori delle singole parti, quindi il tutto è più della somma delle sue parti: non possiamo pensare di allenare la forza separata dalla resistenza, dalla tattica o dalla tecnica, ecc. ecc., come se tutto fosse diviso, tutto fosse separato.

8_rete-sistema-complesso-organizzazione
Come un processo ologrammatico, ogni movimento è espressione dell’atleta, ma attenzione! Non commettiamo l’errore di considerare l’atleta soltanto come un fenomeno biologico, perché l’atleta è anche psicologico, è anche sociologico.
In altri termini, l’atleta è figlio, l’atleta è studente, l’atleta è ragazzo, l’atleta è adolescente, l’atleta è cittadino, l’atleta è atleta, l’atleta è atleta tra gli atleti: insomma, l’atleta è persona con tutta la sua storia, con tutto il suo vissuto, con tutto il suo pensiero, che si esprime attraverso il movimento, anche il più piccolo movimento.
L’allenatore non può esimersi dal considerare tutto ciò. Se lo fa, quando lo fa, quando cede alla tentazione di ridurre la realtà a puri fatti meccanici, l’atleta ad una macchina, allora fallisce.

Note bibliografiche
(A) “I grandi libri che parlano di allenamento sportivo non sono i libri che parlano di allenamento!” Frase pronunciata dal Prof. Pasquale Bellotti durante un corso universitario presso la Facoltà di Scienze motorie di Torino
(B) “Non si può considerare il particolare senza tener conto del globale e non si può considerare il globale senza tener conto del particolare.” Blaise Pascal – Aforisma citato nel libro “La testa ben fatta” di Edgar Morin, Raffaello Cortina Editore, 2000

brain

L’Autore
Mi chiamo Giulio Rattazzi.
Mi sono occupato di diverse attività relative alle Scienze Motorie tra queste:
Allenamento sportivo, preparazione atletica,istruzione, formazione giovanile, riabilitazione, ricerca universitaria, management, pubblicazioni scientifiche, divulgazione scientifica, programmazione informatica, sviluppo e invenzioni di tecnologie, consulenze scientifiche, insegnamento, disabilità, didattiche innovative, valutazione funzionale dell’atleta con invenzione di metodo statistico (Catturare l’evoluzione dei fenomeni con il ricalcolo dei punteggi “z”) e ideazione di software dedicati, ideatore e realizzatore di DeMotu.

Giulio Rattazzi, IJumpV2Free©, (SIAE) Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, numero progressivo: 008344, ordinativo: D007543, 03-04-2012, ottenibile dal sito web: www.demotu.it

**

L'articolo I GRANDI LIBRI CHE PARLANO DI ALLENAMENTO SPORTIVO NON SONO I LIBRI CHE PARLANO DI ALLENAMENTO! sembra essere il primo su Sport e Medicina.


COMPLEMENTI ALLA TECNICA BASE NEL KAYAK SPRINT – METODI DI VALUTAZIONE

$
0
0

Scarica gratis il testo del libro (formato PDF):
COMPLEMENTI ALLA TECNICA BASE NEL KAYAK SPRINT – METODI DI VALUTAZIONE

Cattura

di Andrea Pace

Il libro “Complementi alla Tecnica Base nel Kayak Sprint – Metodi di Valutazione” contiene gli elementi già pubblicati sul sito European Canoe Association al seguente link:
http://www.canoe-europe.org/index.php/private-area/home/364-andrea-pace-2016-diagnosis-from-the-race-the-h-graph
Nel libro si studia sistematicamente la “storia del vincitore” allo scopo di fornire i metodi di valutazione per evidenziare quali siano gli elementi della fisica in cui falliscono i “perdenti”.
Riassumendo si hanno le tre seguenti informazioni che, messe insieme, forniscono più sicurezza nella analisi tecnica di un atleta o di un equipaggio:
le misure di idrodinamica
le misure qualitative dell’atleta
l’analisi della gara
Le tre informazioni danno risposte coerenti tra loro che forniscono le differenze tecniche tra gli atleti che vincono e quelli che perdono. Leggendo il libro e osservando le valutazioni grafiche (molto intuitive) si intuisce rapidamente che chi vince lo fa perchè realizza i fenomeni fisici indispensabili (quasi sempre inconsapevolmente tramite doti innate). Al confronto, la scelta della tecnica base o del metodo di allenamento o addirittura delle caratteristiche fisiologiche dell’atleta sono meno influenti.

L’Autore:
Andrea Pace
– Laureato in Fisica nel 1986, con Tesi di Laurea in Idrodinamica
– Elaborazione e realizzazione di misure video e computerizzate presso l’Istituto di Medicina e Scienza dello Sport, dal 1981
– Assistenza software ed hardware presso il CNR-INSEAN (vasca navale) dal 1987
– Allenatore di Canoa, 3° livello, FICK (Federazione Italiana Canoa Kayak)
– Campione italiano FICK nelle categorie Ragazzi, Junior e Master.

E-mail: andreapacez@gmail.com

canoa-e-kayak

Scarica gratis il testo del libro (formato PDF):
COMPLEMENTI ALLA TECNICA BASE NEL KAYAK SPRINT – METODI DI VALUTAZIONE

L'articolo COMPLEMENTI ALLA TECNICA BASE NEL KAYAK SPRINT – METODI DI VALUTAZIONE sembra essere il primo su Sport e Medicina.

L’ALLENAMENTO FUNZIONALE … FUNZIONALE PER CHI ?!? PER COSA !?!

$
0
0

di Furio Barba

1
In questo scritto un invito ad una riflessione in riferimento ai “titoli” che vengono dati a particolari forme di attività che altro non sono che rivisitazioni del vecchio ma che acquistano “appeal” grazie all’uso di termini anglosassoni.
L’operazione puramente commerciale riguarda attività rivisitate ed aggiornate ai tempi con l’uso di attrezzi più moderni (ma con lo stesso fine), più accattivanti e più rispondenti alle richieste “coreografiche” delle pseudo-nuove attività.
È ovvio che il mercato degli affari detta legge ma credo che basti un po’ di buon senso per afferrarne il fine e rendersi conto di come si diventi strumento, inconsciamente alcuni ma protagonisti altri, di un processo finalizzato solo parzialmente al benessere fisico delle persone ma soprattutto a quello economico di chi aziona le “manovelle” del profitto.

2Si invita, quindi, ad aprire gli occhi sulle operazioni massicce di pubblicità relative alle nuove mode, per discernere quanto di vero ci sia in particolari “innovazioni terminologiche” e “tecnologiche”, e quanto vero sia, invece, il fine economico di particolari operazioni “cultural-commerciali” che coinvolgono “testimonial esperti ed assidui in tali particolari attività”.
Riguardo queste “nuove espressioni di allenamento” trattasi di una strategia per ripresentare ciò che già esiste con un “restyling” particolare.
Ovviamente tutte le espressioni in inglese usate finora sono, in questo caso, d’obbligo per restare in tema.
Un esempio? Il “core”. Cosa è? E’ un termine inglese che significa nucleo. Esistono varie definizioni che oscillano tra “l’artistico e l’olistico”. Tutte, più o meno, coinvolgono zone più o meno vaste della regione compresa tra braccia e gambe e che possono essere riassunte, nelle espressioni più usate, come “centro funzionale del nostro corpo”, “baricentro del nostro corpo”, “centro da cui hanno origine le azioni del nostro corpo”, “nucleo centrale del corpo composto da unità interne ed esterne di muscoli e da catene muscolari crociate anteriori e posteriori”.

3
Per alcuni comprende la muscolatura addominale, dorsale, glutea, la muscolatura interna della zona pelvica, il tensore della fascia lata, mentre per altri si estende anche più in alto a livello dei pettorali, per altri ancora comprende anche la zona tra le spalle e le anche.
Il “core training”, poi, è definita come un’attività con funzione stabilizzante del nostro corpo, di protezione della colonna vertebrale, di miglioramento della postura, che rende più efficace l’attività fisica garantendo protezione e stabilità alle zone lombare e pelvica.
Si puntualizza (e si corregge) che, se si trattasse della ”zona tra gambe e braccia” si chiamerebbe, con adeguata terminologia anatomica, “tronco”, e se fosse la “zona medio-bassa” (del tronco), si chiamerebbe anteriormente (o ventralmente) addominale e pelvica, e posteriormente (o dorsalmente), lombare e glutea. Insomma si tratta, come al solito, di non conoscere la terminologia ed usare termini mediati dal fitness; difatti si è cominciato ad usare il termine “core” agli inizi degli anni ’90 e tale uso ha avuto ampia diffusione all’inizio del 2000. Sarebbe il caso che fossero i praticanti del fitness ad usare i termini corretti e già esistenti, invece che i laureati di scienze motorie usare quelli del fitness, altrimenti c’è svilimento, declassamento ed ulteriore degradamento del “valore” di tale laurea.
Ma tornando al “core”, come era definita tale zona prima di quegli anni? Davvero è stato scoperto da poco? No, ma basta cambiare il nome e gli esercizi da vecchi diventano nuovi, se poi si aggiunge “core stability” o “core ability” si è ancora più appariscenti. Vorrei ricordare al riguardo Jean Le Boulch, il fondatore della “psychocinetique” e della “psychomotricité”, professore di educazione fisica, allenatore di basket e di atletica, psicologo, dottore in medicina e specialista in riabilitazione, che circa 50 anni fa, nelle sue relazioni sull’apprendimento delle tecniche sportive, poneva l’accento sull’importanza della tenuta del “corsetto addominale”. Insomma la storia delle scienze motorie non comincia dal 2000 e sarebbe il caso che nel bagaglio di studio e di conoscenza di un laureato di scienze motorie fossero presenti testi precedenti a tale data che sono, a tutt’oggi, fondamentali per una “buona cultura”, in quanto solo dalla conoscenza del passato può essere costruito un futuro migliore.
Riguardo poi all’utilizzo dei termini anglosassoni e d’uso comune mediati dalle palestre, sarebbe il caso che fosse la terminologia ufficiale ad essere utilizzata anche in virtù di una certa valenza culturale che sarebbe il caso di fare pesare anche in termini professionali; invece, così facendo si finisce col diventare succubi e proni di una moda che dilaga grazie all’assenza di una forte identità culturale e professionale.
Tra l’altro sostituire termini con quelli di altre lingue non vuole dire essere moderni ma esterofili.

4
Ed ancora: “l’allenamento funzionale”. Innanzitutto mi chiedo, cosa vuole dire “funzionale”?
Dal vocabolario: “in funzione di, relativo ad una funzione, che riguarda il funzionamento, inerente alle funzioni“; dalla matematica “variabile y che dipende da una variabile indipendente x”.
In particolare, cosa è una funzione? E’ necessario a questo punto che io faccia (come al solito), un piccolo richiamo di matematica.
Un esempio: il quadrato di un numero dipende da questo numero, perciò qualsiasi grandezza che dipende da un’altra grandezza è funzione di quest’ultima; quindi, quando ci si riferisce ad una funzione, bisogna precisare “di che cosa”. Quando due grandezze dipendono l’una dall’altra si può considerare a piacimento la prima come funzione della seconda o la seconda come funzione della prima; di norma si usa chiamare “funzione” la legge che costituisce l’oggetto di studio e “variabile” quella che fa una parte accessoria.
Seguendo la definizione di Dirichlet, si definisce funzione y della variabile x un legame fra due variabili, una detta variabile indipendente x e l’altra detta variabile dipendente y, tali che abbiano senso le operazioni da effettuare sulla x per ottenere i valori della y e per ogni valore della x corrisponda un solo valore della y; in sintesi y = f (x).
Quando si vuole considerare la funzione “altezza di un albero” che dipende dal tempo, lo scopo non è quello di misurare il passare del tempo per mezzo della variazione d’altezza dell’albero, bensì la funzione che è la legge che misura l’altezza dell’albero al variare del tempo; concludendo, “la funzione y” è l’altezza dell’albero e “la variabile x” è il tempo.
Il fine del calcolo differenziale è quello di misurare le “variazioni delle grandezze” o altrimenti detti “incrementi”. I due problemi essenziali dell’analisi matematica sono:

  1. Data una funzione misurare il suo incremento e quindi trovare la sua derivata o il suo differenziale (derivazione).
  2. Conoscendo la misura dell’incremento ritrovare la funzione; ossia conoscendo una derivata od un differenziale ritrovare la funzione (integrazione o calcolo integrale).

Ma immaginando grandezze che possono variare per più cause, si avrà “lo studio delle funzioni di più variabili”. Un esempio: La portata di un fiume in tempo di pioggia in un determinato punto della sua lunghezza; la sua portata dipenderà dal tempo e dalla distanza del punto considerato dalla sorgente.
Dal tempo: in quanto col suo passare aumenta la quantità d’acqua che cade ed alimenta il fiume.
Dalla distanza del punto considerato dalla sorgente: in quanto all’aumentare della distanza aumenta la superficie del bacino imbrifero (Imbrifero: di terreno, di zona, in cui si raccolgono le acque piovane).
Infine il terzo problema è: conoscendo una relazione tra una funzione, la sua variabile e le sue derivate, ritrovare la funzione incognita che la soddisfa.
Termino qui il mio richiamo alla matematica e riprendo, dopo avere chiarito – spero – il concetto di funzione, chiedendo, a questo punto, se è possibile, rifacendoci al concetto di cosa vuole dire “funzionale”, dare al quesito iniziale la seguente risposta: “che risponde alle funzioni a cui è assegnato”… Condividete?
Di conseguenza alcune domande:

  • Quale allenamento non è funzionale all’obiettivo che si vuole perseguire?
  • Chi svolge un allenamento per “non migliorare”?
  • Chi svolge un’attività non inerente al miglioramento della funzione di un organo, un apparato o un muscolo?
  • Chi esegue esercizi non finalizzati al miglioramento della prestazione?

In pratica la “funzione y” è l’allenamento e la “variabile x” il suo contenuto.

5
Nella letteratura sportiva in tanti hanno parlato di preparazione generale e speciale (qualcuno ricorda, ad esempio, Verchoshanskij?) ed anche di esercizi generali, speciali e specifici; altri di concatenazioni (qualcuno ricorda, ad esempio Cometti?).
Oggi, a maggior ragione, la confusione sui termini non dovrebbe esistere. Insomma, dire “allenamento” o “allenamento funzionale” è, in pratica, la stessa cosa ed il termine funzionale, perciò, risulta superfluo.
Un esempio di riferimento: che differenza c’è nel dire meccanismo aerobico o meccanismo aerobico alattacido?
In pratica nessuna ed è certamente superfluo aggiungere il termine alattacido ad un processo in cui è già insito il concetto di non produzione di acido lattico. Quindi si dice meccanismo aerobico e basta.
Ed allora perché si parla di allenamento funzionale? Semplice: è di moda e … fa business. Ma prima di aprire un altro “casus belli” c’è una precisazione da fare: nella bibliografia mondiale NON esiste una definizione condivisa di allenamento funzionale!
Infatti ogni scrittore ha la propria (e non sono io a dirlo). Di seguito qualche esempio:

  • “allenamento finalizzato a migliorare il movimento dell’uomo” – decisivo
  • “allenamento di estrema completezza e di grande impatto emotivo, che garantisce fidelizzazione e spirito di gruppo” – socialmente utile
  • “significa allenarsi rispettando la fisiologia e la biomeccanica umana” – preciso
  • “funzione di educatore del movimento” – pedagogico
  • “è lo stato naturale dell’attività motoria” – olistico
  • “sistema finalizzato a migliorare il movimento in tutte le sue varianti” – completo
  • “che aumenta la voglia di muoversi e divertirsi facendo qualcosa di utile per la salute” – simpatico
  • “un’attività gym semplice ed efficace che allena il corpo nella sua complessità” – semplice
  • “che comprende un approccio sistemico-globale all’allenamento e alla riabilitazione” – contorto
  • “allenare il nostro corpo ad esplicare tutto ciò che gli richiede la vita quotidiana” – sopravvivenza
  • “un’attività che allena il “movimento” e richiede la produzione di forza sia statica che dinamica e include la capacità di essere consapevoli di come l’intero corpo, o una parte di esso, è posizionato nello spazio in ogni singolo movimento” – biomeccanico
  • “ogni esercizio che permette di migliorare le proprie prestazioni nella vita di tutti i giorni. A seconda di ciò che ognuno fa nella vita, può assumere molte forme” – camaleontico
  • “preparazione fisica a 360° in cui si amplia il “repertorio motorio” di ognuno, e si facilitano le attività quotidiane” – artistico
  • “un’attivazione del sistema cardio-vascolare con il risultato di allenare le capacità organiche del soggetto in modo direttamente proporzionale all’intensità dell’esecuzione degli esercizi funzionali” – fisiologico
  • “costituisce una risorsa da non sottovalutare in termini di attività fisica” – enigmatico
  •  “funzionale vuol dire allenarsi con intelligenza”-  illuminante
  • “la massima evoluzione della performance fisica orientata alla massima efficienza sportiva e non solo” – e che altro? Incompleta
  • “allenamento relativo alla funzione per cui un muscolo o meglio una catena cinematica esiste e si è evoluta in un certo modo” – antropologico
  • “addestramento mirato a conoscere e migliorare le proprie capacità fisiche per poter fronteggiare meglio qualsiasi situazione” – militare
  • “insieme di esercizi che permettono al nostro corpo di migliorare la sua performance fisica nelle varie situazioni richieste, sia in ambito sportivo che nella vita quotidiana” – performante
  • “un metodo di prevenzione, rieducazione e miglioramento della performance, che però agisce su parametri diversi dalle capacità condizionali, anche se tante volte si sovrappone con i metodi di lavoro per lo sviluppo di quest’ultime” – delicato
  • “migliorare le capacità fisiche in modo da garantire una migliore risposta del corpo agli stimoli cui viene sottoposto dall’ambiente circostante” – adattivo
  • “allenamento che non esclude le altre metodologie, ma le riassume e le completa, infatti con esso vengono messi in pratica i principi biomeccanici e bioenergetica che regolano il movimento umano” – diplomatico
  • “suddividere un’idea in parti progressive fino al raggiungimento di quel punto, ma senza mai perdere di vista il tutto” – orientativo
  • “metodo di allenamento dove si allenano più qualità fisiche all’unisono” – armonico
  • “che funziona a 360°, cioè che non mira esclusivamente allo sviluppo di un singolo muscolo o al miglioramento specifico della tua capacità aerobica, ma è più finalizzato in generale all’allenamento del corpo e del movimento nel suo insieme, cercando la massima sinergia muscolare attraverso la combinazione di elementi e movimenti” – risolutivo
  • “si tratta di un processo di apprendimento, di conoscenza di se stessi, dei principi, delle metodologie, dei mezzi e degli strumenti più efficaci al raggiungimento dei propri obiettivi” – universitario
  • “è l’allenamento di base o complementare che si adatta sia ai movimenti naturali del corpo che alle richieste energetiche/metaboliche umane per andar incontro alle richieste prestazionali dello sport praticato o semplicemente per migliorare il benessere psico-fisico generale” – bifronte
  • “uno spettro di attività dirette all’attivazione di una connessione coerente tra corpo, movimento e uso del movimento da parte del corpo” – fantasmagorico
  • “un metodo scientifico che comprende una definizione, una logica e una progressione indiscutibili e inopinabili” – matematico
  • “è un allenamento fondato sulla multiarticolarità, tridimensionalità e riequilibrio” – religioso
  • “attività multi-articolare, multi-planare, arricchita propriocettivamente, che coinvolga decelerazione (riduzione di forza), accelerazione (produzione di forza) e stabilizzazione; che preveda quote consistenti di instabilità e di diversi livelli di controllo della deformazione imposta dalla gravità, delle risposte reattive offerte dal suolo, del momento della forza” – universale
  • “allenamento in grado di migliorare la condizione fisica in modo tale da permettere un miglioramento nello svolgimento delle mansioni della vita quotidiana” – accomodante
  • “un complesso di esercitazioni in grado di coinvolgere equilibrio e propriocezione” – trapezista
  • “è l’allenamento per le persone di ogni età e livello di preparazione fisica che vogliono sentirsi bene ed essere in grado di svolgere qualunque attività ed ottenere un fisico invidiabile” – taumaturgico
  • “coinvolge movimenti che sono specifici o altamente correlati, in termini meccanici, coordinativi ed energetici, con le attività quotidiane abituali” – domestico
  • “è l’allenamento ideale per chiunque si voglia mettere in forma dalla testa ai piedi” – ricostituente
  • “viaggio alla scoperta del corpo umano, alla scoperta delle sue capacità e dei suoi confini” – esplorativo
  • “allenamento rappresentato da quella serie di movimenti integrati svolti su più piani che coinvolgono tutte le componenti dell’atleta con lo scopo di migliorare efficienza neuro muscolare, agilità e destrezza. Ovvero la qualità del movimento” – ascensoristico
  • “allenamento per migliorare globalmente le condizioni fisiche del corpo, rendendolo più efficiente nell’esprimere qualsiasi tipo di gesto o sforzo che sia, è strutturato sull’interazione di molteplici movimenti ed esercizi combinati in modo razionale da permettere che si sviluppi appunto questo condizionamento generale di tutte le capacità fisiche del praticante. Tutto ciò garantisce a qualunque sportivo di migliorare le proprie prestazioni nella disciplina praticata ed a qualunque persona di migliorare la propria vita in quanto migliora la capacità di fronteggiare qualsiasi situazione che richiede lavoro fisico” – ineccepibile
  • “è l’allenamento dove la qualità conta più della quantità” – elementary, my dear Watson

Infine il contrario:

  • “Per un atleta non esiste il concetto di funzionale, dato che per lui l’allenamento deve essere mirato al miglioramento delle condizioni atletiche necessarie a migliorarsi nella disciplina sportiva praticata” – tombale

Dopo aver sorriso sulla “scientificità condivisa” di tale definizione e stabilito, quindi, che NON esiste una definizione condivisa, cerchiamo di fare un passo indietro e risalire alle origini di tale “espressione” che, nella sua forma inglese “functional training” … non ha alcun collegamento con lo sport!

Difatti, essa trae le sue origini nel campo della riabilitazione (per qualcuno dovrebbe conservare questa sua anima), agendo sulla “riabilitazione” delle persone e degli atleti (qualcun’altro si è battuto per contrapporsi a fisioterapisti, osteopati, etc.).
Oggi, prendendo spunto da tale origine, altri si battono per una nuova “fetta di mercato” che potrebbe aprirsi parlando di “riabilizzazione”, mentre altri ancora di “riatletizzazione”; ed infine, altri ancora, per difendere il proprio ambito di preparatori, parlano di “nuova frontiera dell’allenamento”.
Tante parole, tanta filosofia per allargare un concetto semplicissimo ma ricchissimo di contenuti: “l‘allenamento è una preparazione mirata per il raggiungimento di un determinato risultato sportivo” e si distingue dalla “attività motoriache non si pone alcun fine agonistico ma è indirizzata al raggiungimento del benessere psico-fisico della persona.
Sarebbe il caso di riflettere su queste nuove mode … che hanno storia vecchia; un esempio classico è lo stretching “inventato” da Bob Andersson alla fine degli anni ‘70, ma già esistente nel mondo sportivo come esercizi di “allungamento da fermo” facenti parte del “metodo statico di miglioramento della mobilità articolare”.
Provate a chiedere lumi a tecnici ed atleti in attività prima di quella data.
Infine, tornando al “functional training”, sento odore di bruciato, di “un’altra intrusione” di campo che si allarga, specie dopo la perdita di identità dei preparatori più frustrati che cercano di scimmiottare i tecnici parlando sempre più di tecnologia applicata alla tecnica ed alla tattica, occupandosi sempre meno di fatica e sudore (perché in questo ambito c’è da essere più preparati e studiare continuamente rispetto alle “filosofie da campo” che in compenso, però, fanno tanta immagine), in una sorta di riscatto nei riguardi di una novella “vergogna prometeica”.
Ovviamente l’operazione è pianificata affinché, senza farsene accorgere, gradualmente il sistema sia sempre meno criticato e si arrivi ad identificarsi in esso, per condividerne i fini e la spartizione dei profitti.
Per questo si progetta in maniera tale da cambiare anche la propria definizione, e così da “istruttore di palestra” si passa a “responsabile di sala gym”, ad “esperto di muscolazione”, ad “esperto di fitness”, a “personal trainer”, fino a coinvolgere i preparatori degli sport di squadra che passano da “preparatore atletico” a “preparatore fisico” (sopratutto per prendere le distanze dall’odiata atletica).
Qualcuno, poi, ha adottato l’espressione di “tecnico di campo” (significato?), poi di “allenatore fisico”, fino a quando è stato dettato il “de profundis” del preparatore fisico assumendo il termine “trainer” (come al solito in inglese per contare di più), poi “physical trainer” ed infine “athletic coach”; il tutto per rifarsi il “look” e prendere le distanze dagli altri preparatori e … per chiedere più soldi …
Buon per loro e peggio per i presidenti (a me, invece, ricordano tanto i consulenti per lo shopping; mi spiace non conoscere la particolare definizione in inglese che costoro doverosamente utilizzano per darsi un’aria superiore e spillare più quattrini mentre fanno quello che sanno fare tutti … dare consigli).
L’incoerenza, poi, diventa massima quando durante l’opera di demolizione della figura, e soprattutto del nome, “preparatore fisico”, vengono fondate nuove forme associazionistiche di preparatori fisici e coloro che dapprima ne invocavano la fine e ne recitavano il “de profundis” … adesso salutano a tali iniziative.

6

Fantastico! All’improvviso ci si rende conto del pericolo che il “fumus apocalittico” potrebbe creare e che, nel caso il progetto “trainer-athletic coach” fallisca, ci si ritroverebbe senza alcuna identità.
E allora? Meglio correre ai ripari e premunirsi benedicendo un’associazione di “preparatori” per poter mantenere un piede nel vecchio nel caso vada male la “rivoluzione” del nuovo.
A questo punto bisognerebbe che i “preparatori discriminati” avessero un sussulto d’orgoglio ed invece del “calabrache” facessero un esame di coscienza e si rendessero conto del perché si trovano in disparte ed uscissero da questa situazione grazie ad un cambio culturale dettato da una presa di coscienza semplicissima dello stato in cui si trovano, e, grazie ad “un processo d’azione psico-pedagogico complesso mirante all’acquisizione / aumento delle conoscenze, ed all’apprendimento / consolidamento delle competenze, passassero ad una sorta di riappropriazione della propria identità negata.
Rialzarsi e ritrovare la statura culturale che compete dovrebbe essere il passo fondamentale per uscire dalla situazione attuale. Non è molto difficile … i livelli di deterioramento e degrado non sono né molto avanzati, né irreversibili: reagite!
Non esiste alcuna deriva apocalittica e nessun baratro è presente davanti ai piedi; bisogna rimboccarsi le maniche e darsi da fare.
D’altronde, a voler essere cattivi, il nuovo va bene quando fornisce risultati migliori rispetto al vecchio e non sono a conoscenza di risultati di vertice, non dico a livello internazionale, ma a livello nazionale avuti con il nuovo.
Il tragico è che si vuole insegnare come si fa … anche quando non lo si è mai fatto! Così come pretendeva di fare un fisiologo che voleva insegnare come allenare un velocista … al Prof. Vittori. Prima i risultati poi le parole!
In conclusione “il carrozzone” continua ad andare avanti e, come sempre, ogni tanto qualcuno cerca di costruire il proprio feudo. Si tratta di un castello di carte, ma senza uno scossone anche quello non va giù. Trattandosi però proprio di un castello di carte, basta poco per farlo cadere.

Un cordiale saluto
Furio Barba

P.S. Vorrei fare notare che quando alcuni parlano di allenamento funzionale del basket o di allenamento funzionale della pallavolo, dovrebbero, per ovvietà delle cose chiarire anche qual è l’allenamento “non funzionaledel basket e quello “non funzionaledella pallavolo.
Sarebbe interessante conoscere, vista l’ovvietà di tale distinzione, le caratteristiche dell’uno e dell’altro tipo di allenamento ed oltremodo interessante conoscere, a questo punto, la differenza tra questi termini e quelli tipo “preparazione generale e speciale” o “allenamento generale e specifico”.
La differenza? Come al solito, dovendo buttare fumo negli occhi e vendere “immagine”, si tratta di dire la medesima cosa con … “nuove espressioni”.

Autore:
Furio Barba
– Già docente dell’ISEF di Napoli
– Docente a contratto dell’Università Partenope
– Docente della scuola dello sport del coni
– Allenatore di atleti di livello nazionale e internazionale di svariate discipline

allenamento-funzionale

**

L'articolo L’ALLENAMENTO FUNZIONALE … FUNZIONALE PER CHI ?!? PER COSA !?! sembra essere il primo su Sport e Medicina.

GLUTEI PERFETTI PER LE VACANZE. I CONSIGLI DEL PERSONAL TRAINER

$
0
0

nutrieprevieni

di Michela Perrone

squat2-300x200

La prova costume è sempre più vicina, ma niente panico: con qualche accortezza a tavola e esercizi fisici mirati possiamo arrivare a sfoggiare un lato b invidiabile. A patto di ricordare che le piccole imperfezioni non vanno per forza nascoste. Al di là dell’estetica i glutei sono muscoli fondamentali perché permettono la nostra posizione eretta, stabilizzano la colonna vertebrale e consentono al bacino di ruotare. Quindi mantenerli tonici fa bene non solo al nostro ego, ma anche al nostro corpo. Per ridare tono muscolare al fondoschiena – e non solo – servono prima di tutto esercizi mirati e una corretta alimentazione.

L’esercizio fisico
Partendo dall’attività fisica, sono molti gli esercizi mirati che si possono praticare anche a casa e che promettono di restituirci un “lato b” perfetto o quasi. I più semplici, efficaci e alla portata di tutte sono il ponte, gli affondi, lo step e gli squat. “Queste attività sono adatte a tutte, senza distinzioni d’età – conferma Simone Losi, personal trainer specializzato nel dimagrimento duraturo – Quello che fa la differenza è il livello di allenamento di ciascuna”. Vediamo quelli replicabili anche a casa e che non necessitano di strumenti particolari, ricordandoci che, oltre alla qualità, è importante anche la quantità, che non deve essere eccessiva: “Per tutti questi esercizi la frequenza consigliata è al massimo tre volte a settimana, 12-15 ripetizioni per esercizio”, chiarisce il personal trainer.

Ponte da supine
Sdraiate a terra con le gambe piegate, sollevare il bacino contraendo i muscoli dei glutei e gli addominali e mantenendo le spalle ben fissate a terra e lo sguardo rivolto verso il soffitto. Dopo qualche secondo si può tornare lentamente alla posizione di partenza. “Questo è l’esercizio base, accessibile a tutte e dal quale si comincia per l’attivazione muscolare”, spiega Losi.

Step
Si parte in piedi, portando un piede su un rialzo (che può essere lo stepper da palestra, ma anche una panca o un gradino), stendendo la gamba e portando anche l’altra sul rialzo. Dopodiché si scende, con la gamba con cui si è salite. Per aumentare il carico di possono aggiungere manubri o il bilanciere, prestando sempre molta attenzione alla schiena.

Squat
Si parte in posizione eretta, con piedi paralleli. L’esercizio consiste nel piegare le gambe come se ci si stesse sedendo, senza inarcare la schiena e allungando le braccia di fronte a noi per mantenere l’equilibrio mentre “ci si siede”. Ci possiamo anche aiutare con una sedia o una panca che ci faccia capire fin dove dobbiamo piegarci. Il rischio infatti è fermarsi troppo presto rendendo inefficace l’esercizio. Questo tipo di attività sollecita la muscolatura di glutei e gambe.

Affondo camminato
Una volta effettuato un passo in avanti, per sollecitare i muscoli dei glutei basta piegare la gamba del piede che si trova dietro, cercando di formare un angolo retto e fermandosi prima che il ginocchio tocchi terra. Mantenere la posizione per qualche secondo, poi alzarsi, fare un passo in avanti e ripetere quindi l’esercizio con le gambe invertite. Per aumentare il carico dell’esercizio anche in questo caso ci si può aiutare con due manubri, mantenendo la schiena dritta e le braccia lungo il corpo durante i piegamenti delle gambe.

uid_1300f895184

Le accortezze che fanno la differenza
Accanto a questi quattro “must” del gluteo sodo, ci sono piccoli accorgimenti quotidiani per massimizzare i risultati. Lo step, per esempio, può essere sostituito o quasi dalle scale di casa: in questo senso, abitare al quinto piano senza ascensore acquisisce un nuovo fascino per molte di noi. “Se si è un po’ allenate e si ha la possibilità, salire i gradini a due a due è un esercizio che tonifica i glutei – spiega Losi – L’ideale per bruciare grassi sarebbe salirne una sessantina e poi scendere con calma, riprendendo fiato e rilassando la parte, ripetendo poi l’esercizio per otto volte”. Altro suggerimento che tutte possiamo mettere in pratica è la camminata in salita: anche qui un’andatura decisa favorisce l’esercizio: “Non è necessario correre, basta seguire il percorso che ci siamo dati con un buon passo”, prosegue il personal trainer. Una camminata in montagna con le giuste accortezze può quindi mantenerci in allenamento facendoci divertire. Con la bella stagione, poi, si può sfruttare l’effetto modellante e anticellulite dell’acqua, passando un pomeriggio con le amiche in piscina oppure direttamente al mare. E durante le vacanze ci si può mantenere in forma divertendosi: sport come il Beach Volley allenano moltissimi muscoli del corpo (anche quelli che non credevate di avere e che “sentite” il giorno dopo una partita!), compresi i glutei.

Il mattino ha l’oro in bocca
Che sia un’attività in palestra, una sgambata in bicicletta o una corsa, il momento migliore per praticare esercizio fisico è la mattina, “quando abbiamo la migliore condizione a livello ormonale”, come spiega l’esperto. Per massimizzare l’allenamento, il consiglio è quello di “restare a digiuno e iniziare l’esercizio fisico dopo aver bevuto un bicchiere d’acqua. Non mangiare consente infatti di mantenere l’intestino libero e far sì che il sangue possa affluire ai muscoli. Se questo non è possibile, occorre aspettare almeno 3-4 ore dal pasto prima di svolgere attività fisica”.

L’alimentazione
L’esercizio fisico da solo non basta: “Per avere glutei tonici, all’attività fisica bisogna unire un apporto di proteine che varia in base al metabolismo della singola persona e non dimenticare l’idratazione”, avverte il personal trainer. Ovviamente quando si pratica esercizio a digiuno è fondamentale concedersi una buona colazione a fine sessione: proteine come quelle contenute nelle uova e frutta fresca e secca sono gli alimenti top per rigenerarsi. Durante la giornata è bene abbondare di proteine vegetali e prodotti dell’orto, ma attenzione ai tempi: “Occorrerebbe mangiare 2-3 frutti al giorno e due porzioni di verdura, una a pranzo e una a cena. Con un occhio di riguardo alla frutta, che dovrebbe essere consumata nella prima parte della giornata: dopo le 16 infatti gli zuccheri contenuti al suo interno sono prevalentemente convertiti in grasso durante la notte”. Via libera invece ai liquidi: “Durante l’attività, qualunque sia, bisogna ricordarsi di idratarsi – precisa Losi – È importante avere con sé sempre un mezzo litro d’acqua da consumare durante l’allenamento. A questo si deve aggiungere il ‘classico’ litro e mezzo da consumare durante la giornata”. L’acqua aiuta anche a combattere la ritenzione idrica e contrastare la pelle a buccia d’arancia. Anche se, come ci ricorda la modella curvy Ashley Graham, è importante amare il proprio corpo e non vergognarsene, mostrando le piccole imperfezioni. Graham ha pubblicato a più riprese su Instagram foto senza filtri, che mostrano la cellulite, sottolineando: “Io non mi alleno per perdere peso, ma per mantenermi in buona salute. Non voglio lasciare che siano gli altri a dettare come il mio corpo dovrebbe essere”.

Per combattere la cellulite via tacchi e sale
Il costume non solo mette alla prova la tonicità dei nostri glutei, ma mette anche a nudo la cellulite, problema che colpisce quasi il 90% delle donne, sia quelle magre sia quelle più in carne. L’inestetismo è tipico delle donne perché dipende – anche – dagli ormoni sessuali femminili che favoriscono la ritenzione idrica causando la classica “buccia d’arancia”. Si combatte rivolgendosi a un medico specializzato, ma anche migliorando il proprio stile di vita. Dire addio a fumo e alcol, per esempio, è un buon inizio, così come fare attività fisica, bere acqua e consumare frutta. Un alimento che si sta dimostrando particolarmente efficace in questo senso è l’ananas: l’alimento contiene (soprattutto nella parte legnosa) bromelina, un enzima che favorisce l’assimilazione delle proteine più complesse e migliora la ritenzione idrica. Tra i consigli dell’esperto per combattere la cellulite c’è “l’eliminazione del sale, non solo quello aggiunto, ma anche quello ‘nascosto’ in alimenti come insaccati,formaggi stagionati e cibi confezionati. E poi limitare l’utilizzo di tacchi molto alti: 10-12 cm alterano il passo con conseguenze negative anche per i nostri glutei”, spiega Losi.

L’anatomia del gluteo
Si fa presto a dire glutei, ma sappiamo davvero come sono fatti questi muscoli così importanti per la nostra postura? Ciascuna natica è composta da tre muscoli: il grande gluteo, il medio gluteo e il piccolo gluteo. Situati tutti tra la coscia e il femore, si trovano a diversi livelli di profondità: il grande gluteo è quello più esterno, quello che vediamo e che va allenato e tonificato. “Spesso si compiono alcuni errori nel tentativo di rimodellare i glutei – spiega Losi – Il primo è un carico troppo leggero, che non stimola abbastanza il gluteo, e poi l’esecuzione di alcuni esercizi che sono poco utili per tonificare questa parte del corpo perché sollecitano altri muscoli”. Gli slanci, l’abductor machine e la pressa sono solo alcuni esempi che sottolineano l’importanza di rivolgersi a professionisti quando si inizia il proprio percorso.

Glutei-cinesiologia-applicata

 

nutrieprevieni

**

L'articolo GLUTEI PERFETTI PER LE VACANZE. I CONSIGLI DEL PERSONAL TRAINER sembra essere il primo su Sport e Medicina.

L’ARRAMPICATA SPORTIVA (o “FREE CLIMBING”)

$
0
0

Informazioni e notizie tratte da:
Allenamento (SportArrampicata – periodico della F.A.S.I.)
di Roberto Bagnoli

fasilogo

Federazione Arrampicata Sportiva Italiana

alpinismo-01-800x500_c

PRINCIPI E METODOLOGIE D’INDAGINE DEL FENOMENO SPORTIVO
“Arrampicata Sportiva”

Approccio multidisciplinare e analisi dell’arrampicata sportiva

Ogni fenomeno motorio – sportivo, per essere compreso necessita di informazioni che attingono da varie scienze umane, quali la biomeccanica, la neurofisiologia, la biologia, la psicologia dello sport e molte altre ancora.
Il fenomeno sportivo, che si manifesta nella sua interezza al momento della prestazione, viene in questo modo scomposto in parti elementari, cosicché ciascun ambito d’indagine (biomeccanico, medico, psicologico ecc. …) possa essere studiato e approfondito separatamente.
Il risultato sportivo (o performance) è la vera sintesi di tutti questi elementi (elementi tecnici, tattici, mentali e bioenergetici) ed è espressione della capacità del singolo atleta di saperli integrare tra loro.
Questo approccio “diagnostico” è di vitale importanza, infatti la conoscenza dell’evento sportivo è, tra le altre cose, anche il punto di partenza che consente di accedere alle metodologie di allenamento, cioè ai mezzi attraverso i quali è possibile il miglioramento delle capacità di prestazione e la prevenzione dei traumi, spesso causati proprio da un cattivo utilizzo dei mezzi di allenamento stessi.
27 Queste due condizioni di arrampicata differiscono sia per le caratteristiche intrinseche degli itinerari (sviluppo in metri e conseguente tempo medio di percorrenza, tipologia delle pareti, forma delle prese) che per la peculiarità dei movimenti richiesti. Quindi una cosa è arrampicarsi su pareti naturali, altra cosa prepararsi per una gara su strutture artificiali e viceversa.
Conoscere entro quali limiti temporali si sviluppa l’azione motoria è un altro aspetto da non sottovalutare; infatti nonostante l’arrampicata non sia uno sport “a tempo”, esistono comunque dei tempi medi di percorrenza degli itinerari, che, nelle comuni competizioni, si aggirano tra i 3′ 30″ e i 5′ 30″.
L’azione dell’arrampicata non è continua, ma si ripetono in successione fasi statiche e fasi dinamiche; tra le prime rientrano i “moschettonaggi” (periodi in cui vengono messi in sicura i ganci dell’atleta durante la salita) che, pur non occupando una fetta importante del tempo di salita, rappresentano però un momento di dispendio energetico notevole per chi pratica l’arrampicata sportiva. L’arrampicatore si muove lentamente sulla parete (rapporto distanza/tempo) ed in maniera non uniforme; momenti ad elevata intensità e fasi di recupero attivo delle energie si alternano continuamente: quindi contrazioni di tipo isotonico/isometrico alternato sono la caratteristica principale di questo sport. Ciascuna contrazione della muscolatura deputata alla prensione (muscoli dell’avambraccio e della mano) ha una durata media che va dai 6 ai 12 secondi (tempi rilevati su terreno artificiale).


I tempi di rilasciamento sono però troppo brevi affinché si possa produrre un recupero completo delle energie; ciò comporta un affaticamento progressivo per lo più imputabile alle aumentate concentrazioni di acido lattico intramuscolare. Il tutto è riassunto nella tabella successiva:

Tabella 1 – AZIONE MOTORIA DELL’ARRAMPICATA SPORTIVA

L’ARRAMPICATA SPORTIVA
La muscolatura della “prensione” è attivata e disattivata in maniera intermittente: la fase di rilasciamento post-isometrica è insufficiente a determinare un recupero completo; la capacità contrattile diminuisce progressivamente.
Lo scalatore compie sforzi non omogenei: essi sono dovuti all’alternanza di fasi ad elevata intensità a fasi di minore intensità (recupero attivo delle energie).
Lo scalatore si muove lentamente: ciò è confermato dal rapporto
distanza percorsa in metri/tempo totale di percorrenza dell’itinerario

Identificato l’ambiente nel quale l’atleta ricerca la prestazione, quali caratteristiche lo contraddistinguono, quali sono i parametri spazio-temporali propri dell’azione dell’arrampicata e come l’arrampicatore si muove sulla parete, si considerano gli obiettivi perseguibili dall’atleta.
Nella strutturazione dell’allenamento sportivo l’obiettivo principale è ottenere dei risultati sempre migliori; per ottenere un incremento della prestazione è necessario conoscere quali elementi la determinano e indurre quegli stimoli necessari affinché si abbia un innalzamento del potenziale prestativo dell’atleta.
I fattori della prestazione sono l’insieme delle componenti capaci di influenzare il risultato sportivo. Queste componenti condizionano la dinamica comportamentale dell’atleta e garantiscono o pregiudicano la riuscita del compito.

2341566436_b4d03244ea_b

arramp4

climber

Muri “naturali”

Tabella 2 – FATTORI CONDIZIONANTI LA PRESTAZIONE

  • Caratteristiche genetiche
  • Componenti morfotipiche (antropometriche)
  • Componenti bio-energetiche (substrati energetici, capacità organico-muscolari)
  • Componenti coordinative (coordinazione nell’esecuzione dei movimenti; economia)
  • Componenti psicologiche (volontà , motivazione, decisione, intelligenza)
  • Componenti tecnico-tattiche (bagaglio tecnico, disponibilità variabile)
  • Fattori esterni (clima, ora del giorno, caratteristiche della via)

Nella prestazione sportiva (gara), come nello sviluppo dei pre-requisiti della prestazione (allenamento) ognuna delle componenti citate in tabella occupa una parte importante. Avere alti livelli di ognuna predispone al raggiungimento di traguardi di rilievo.
Molte di queste componenti sono notoriamente modificabili e migliorabili e ciò corrisponde all’obiettivo che si propone l’atleta in allenamento.

TNX-10574-climbing_1

free-climbing-in-arizona-with-sierra-blaire-coyle-the-moment-1445526739

Muri “naturali”

Caratteristiche organiche richieste nell’arrampicata

La prestazione nell’arrampicata dipende dall’individualizzazione dei due obiettivi fondamentali per quanto riguarda lo sviluppo dei fattori organico – muscolari: Forza Massima e Resistenza. Se i termini Forza e Resistenza rimandano a reali prestazioni fisiologiche (misurabili), la cosiddetta “continuità” è un termine che non ha nessun riscontro fisiologico, ed è quindi un aspetto che oltre a confondere le idee è privo di qualsiasi fondamento scientifico. In arrampicata esiste la Capacità di Forza, cioè la capacità di erogare continuamente un sufficiente quantitativo di forza utile che permette di non cadere. In pratica, al di là dei possibili errori tecnico-tattici, si cade sempre per mancanza di forza. La capacità di forza è limitata infatti, oltre che da fattori strettamente neuro-muscolari (capacità di contrarre la muscolatura) anche dalle capacità metabolico – energetiche (su tutte la capacità di tamponare l’Acido Lattico = capacità di recupero attivo). Quindi nell’arrampicata le caratteristiche meccanico-muscolari fondamentali richieste sono di due tipi: Forza e Resistenza.

  • La Forza Massima

Già nel 1988 il Prof. G. Cometti (francese) cita nel suo libro l’importanza dell’incremento della forza in arrampicata, che sembra essere essenziale per «procrastinare» l’affaticamento muscolare.
Si distinguono la Forza Massima Concentrica da quella Massima Isometrica. Nella prima si sviluppa il gesto della trazione, nell’altra la capacità di tenere le prese ed il bloccaggio. Questi sono i gesti propri dell’arrampicata e in queste modalità si deve sviluppare forza.
Nell’arrampicata la capacità massima di forza è quella estrinsecabile da un certo distretto muscolare (nel nostro caso, muscoli dell’avambraccio e della mano). Essa serve: 1) a mantenere prese sempre più difficili; 2) a mantenere le stesse prese con minore dispendio energetico. Maggiore è infatti la capacità di forza, minore è l’intervento delle fibre muscolari rapide (fibre ad elevata capacità di affaticamento) e quindi maggiore è il risparmio energetico (turnover delle unità motorie). Inoltre: “più la forza massimale ottenuta con l’allenamento è elevata, più sarà facile mantenere un alto livello di forza per tutta la durata della prova”.
La capacità di forza non deve essere mai scissa dall’azione motoria per la quale è richiesta e quindi dalla coordinazione motoria. Forza, coordinazione ed interpretazione del movimento concorrono alla riuscita del compito ed all’innalzamento del livello atletico.

  • Metodi di allenamento

Per allenare la forza si possono adottare delle trazioni in discesa (negative, con carico massimale o sovramassimale), movimenti in discesa sul “Campus Board” o sul “Muro – Boulder” rientrano nella categoria degli sforzi eccentrici, in cui il muscolo viene impegnato in un’azione di freno (si contrae e contemporaneamente si allunga (allontana i capi articolari = braccio che si apre). Questi sforzi perturbano l’organismo in maniera severa e sono propri dell’arrampicatore esperto ed avvezzo a tollerare carichi elevati. Lo sviluppo della forza in regime eccentrico consente un incremento del potenziale di forza notevole, sebbene occorrano tempi molto lunghi per consentire all’organismo di recuperare e “supercompensare” anche dopo una sola seduta di questo tipo. È per questa ragione che gli esercizi eccentrici non si sposano con la preparazione immediata alla gara.
Gli esercizi pliometrici hanno per obiettivo l’incremento della Forza Esplosiva, che per definizione rimanda ad un grande spostamento in un lasso di tempo molto piccolo. È verosimile quindi che questo termine corrisponda alla Potenza. Dinamicità, reattività, potenza, sono dunque gli obiettivi che vengono perseguiti nelle sedute a carattere pliometrico. Il metodo pliometrico è tale quando tra la fase di freno (eccentrico – isometrica) e quella di spinta verso l’alto (concentrica) trascorre un lasso di tempo brevissimo. Anche compiendo della pliometria alle sbarre è assai probabile che tra la discesa e la salita trascorra un tempo troppo lungo per consentire il cosiddetto “riuso di energia elastica”.
L’allenamento alla forza dovrà essere mirato a precisi distretti corporei: braccia, mani. Gli sforzi «di dita» limitano lo sviluppo della forza dei grandi muscoli di braccia e dorso. Alternare sforzi di dita a sforzi «di braccia» (passaggi duri su prese buone) è un buon sistema per incrementare la forza di questi ultimi. Suddividere la seduta in due sessioni, ove la prima metà è diretta al lavoro sulle dita e la successiva al lavoro sulle braccia, può rivelarsi utile. A più alti livelli, concatenare due sedute consecutive di forza alternando nella prima un lavoro concentrato sulle dita e nella seconda un lavoro sulle braccia permette alle prime di non sovraffaticarsi ed alle seconde di svilupparsi in maniera “completa”.
Comunque come in tutti gli sport la ripetizione del gesto tecnico deve essere allenata parallelamente alla forza. Quindi, il lavoro specifico (sia esso in parete per chi arrampica, che sui blocchi per chi pratica bouldering) riveste un ruolo importante per l’atleta che vuole perseguire lo scopo dell’incremento della prestazione). Il lavoro cosiddetto «a secco» (trave, muro, campus board) deve necessariamente essere convertito in miglioramento della prestazione.

  • La resistenza

Il concetto di resistenza in arrampicata, è correlato alla capacità di erogare un sufficiente quantitativo di forza nel tempo e quindi alla capacità di vincere l’affaticamento. L’incapacità di sviluppare una forza adeguata dipende principalmente dalle aumentate concentrazioni di acido lattico nei muscoli. Nell’arrampicata il meccanismo energetico anaerobico lattacido è il più coinvolto. Poiché una buona parte dell’acido lattico prodotto viene continuamente metabolizzato (riconvertito in energia utile) è importante applicare esercizi di allenamento che potenzino questo tipo di sistema. L’arrampicatore deve inevitabilmente allenare i muscoli nell’ambito del sistema anaerobico lattacido (oltre che, ovviamente, in quello anaerobico alattacido); d’altra parte non deve dimenticare le caratteristiche biomeccaniche dell’azione motoria (sforzi discontinui, abilità a recuperare rapidamente le energie nei momenti in cui la tipologia delle prese lo consente, tempi medi di contrazione isometrica, variazione dell’inclinazione delle pareti e della forma delle prese ecc. …). Abituare la muscolatura ad impegnarsi in maniera discontinua, cioè a fasi ad intensità variabile, è senz’altro uno dei temi che deve essere perseguito nella strutturazione dell’allenamento.
L’arrampicatore, proprio perché coinvolge in sforzi elevati praticamente solo i piccoli muscoli delle dita (flessori delle dita) non necessita di possedere elevati livelli di resistenza centrale, vale a dire di elevate capacità del sistema cardio-respiratorio. Comunque una buona efficienza cardiaca sicuramente concorrerà alla salute dell’atleta; inoltre l’importanza del sistema cardiaco tende ad aumentare, oltre che con la lunghezza della via, anche con l’inclinazione della parete, proprio perché in situazioni di «forte strapiombo o tetto», diventa ancor più determinante il ruolo dei grandi muscoli di braccia (bicipite) e dorso (gran dorsale ecc. …), che per la loro massa contribuiscono ad un aumento decisivo del metabolismo e quindi della necessità di apporto di ossigeno. Infine se è vero che in generale l’allenamento di tipo statico (o isometrico), bloccaggi alla sbarra per intendersi, non incide (o incide minimamente) sullo sviluppo dei vasi dei muscoli in contrazione (capillarizzazione) è vero anche che il susseguirsi di contrazioni intermittenti dei flessori delle dita, seppur anch’essi sottoposti a lavoro isometrico, produce profonde modificazioni nell’ambito vascolare e neuro-vascolare (ma pur sempre di tipo locale, cioè limitatamente all’avambraccio).

L’allenamento delle capacità energetiche dovrà avere almeno due obiettivi

Bisogna chiedersi:
Quali sono le capacità organiche (o prerequisiti) che l’atleta deve possedere per evitare l’affaticamento muscolare?
1) Capacità di forza massima isometrica dei muscoli della prensione
2) Capacità di resistenza all’affaticamento dei muscoli della prensione

OBIETTIVI

Nel rispetto delle forme e dei tempi ottimali che richiede lo sviluppo della forza:
1- sviluppo della capacità di proseguire nello sforzo nonostante gli accumuli di Acido Lattico
2- sviluppo della capacità di recuperare rapidamente le energie durante la scalata, nelle fasi di “recupero attivo”.
Ogni tipologia di appiglio (tacca, svaso, pinza ecc. …) allena principalmente quel tipo di prensione, questo per due ragioni:
1) si sa che l’allenamento statico accresce la forza prevalentemente nell’angolo specifico di lavoro
2) in ciascun tipo di prensione intervengono non solo i flessori delle dita, ma anche tutti gli altri muscoli intrinseci ed estrinseci della mano (in particolare quelli del pollice) che contribuiscono in maniera differente a seconda della presa tenuta.
Quindi l’atleta deve allenarsi su tutti i tipi di prese per migliorare la tenuta in ogni circostanza; variare il più possibile le circostanze di lavoro durante le sedute di allenamento in ambiente artificiale.
Qualsiasi sforzo di breve durata (tale da non intaccare il metabolismo energetico anaerobico lattacido) e di intensità massima produce un incremento di forza, sia essa di tipo concentrico che isometrico.
1- TRAZIONI: da 1 a 10 trazioni massimali contribuiscono ad accrescere la forza nei muscoli, ma con delle differenze sostanziali: in generale fino a 3 ripetizioni lo sviluppo della forza è a carico dei cosiddetti fattori nervosi, che aumentano la forza senza concomitante accrescimento della massa muscolare; all’opposto salendo con le ripetizioni si incrementa la forza mediante i cosiddetti fattori strutturali, con consistente aumento della dimensione delle fibre muscolari (ipertrofia) e quindi della massa. 6 ripetizioni (come anche un sistema piramidale, ma sempre procedendo dal “vertice” verso la “base” della piramide) rappresentano un buon compromesso che coinvolge sia l’uno che l’altro aspetto. È ovviamente importante che l’arrampicatore si diriga più sugli aspetti nervosi che su quelli strutturali, per ovviare al problema dell’aumento eccessivo (e non assoluto) delle masse.
2- BLOCCAGGI e SOSPENSIONI: 3 – 6 secondi di “bloccaggio” (o sospensione) consentono di sviluppare al meglio la forza massima isometrica.
3- AL MURO-BOULDER: obiettivo è lo sforzo massimale (superiore alle nostre possibilità; in genere si provano passaggi che almeno inizialmente non riescono); pochi movimenti, da 1-2 (lavoro sullo sforzo singolo) a massimo 6. Il principio è lo stesso delle trazioni: grande intensità concentrata in 1-3 movimenti = sviluppo dei fattori nervosi (cosiddetta forza pura); più movimenti = tendenza all’incremento anche di quelli strutturali. Entrambi sono importanti; dipende dalle esigenze e dalla programmazione. Attenzione ai recuperi: l’importanza di un adeguato recupero tra le prove è pari a quella della prova stessa.

Valutazione e corretto uso dei mezzi di allenamento: Progredire con Gradualità

Classificazione dei mezzi di allenamento in Arrampicata Sportiva
I “mezzi di allenamento” sono tutti gli strumenti dei quali si avvale l’arrampicatore per incrementare il livello prestativo:
1- le pareti d’arrampicata (naturali e artificiali)

Muri “artificiali”

Muri “naturali”

2- il muro – boulder
3- la trave
4- il Pan Gullich
5- le macchine di muscolazione.
Questi stessi “attrezzi” possono essere più semplicemente classificati in 3 distinte categorie:
1- MEZZI SPECIFICI
2- MEZZI SEMI-SPECIFICI
3- MEZZI GENERALI
schematicamente rappresentate nella Tabella 3.

Tabella 3 – MEZZI DI ALLENAMENTO

1) Mezzi Specifici: le pareti d’arrampicata (come i massi o i muri boulder per chi pratica questa specialità) non sono solo il “terreno” sul quale è possibile valutare il proprio livello, ma anche mezzi di allenamento estremamente specifici e performanti; come vedremo infatti è solo praticando il “gesto” specifico che vengono allenate tutte le componenti della prestazione, che invece vengono trascurate mano a mano che l’attrezzo di allenamento si allontana dallo specifico al generale.
2) Mezzi Semi-specifici: con il termine “semi-specifico” s’intende un mezzo che si avvicina alle condizioni tipiche dell’azione “in parete”, ma sul quale è possibile solo simularle oppure stimolare i muscoli propri dell’arrampicata, ma in maniera lontana dalle caratteristiche reali. I mezzi semi-specifici possono essere distinti in:
a) Globali = in cui l’intero corpo viene messo in azione (caso dei muri-boulder)
b) Analitici = in cui vengono stimolati in maniera selettiva solo i muscoli della parte superiore del corpo (vedi trave o pan Gullich)
3) Mezzi generali: i mezzi generali di allenamento sono rappresentati dalle classiche macchine di muscolazione o dai manubri, pesi ecc. … Rientrano in questa categoria anche gli esercizi di allungamento muscolare (stretching).

Tabella 4 – VALUTAZIONE DEI MEZZI DI ALLENAMENTO

PARETE (indoor e outdoor)
-SISTEMI ENERGETICI
Resistenza ad un lavoro aciclico estremamente vario, di situazione
-REGIMI DI LAVORO
Concentrico e isometrico con modalità temporali estremamente specifiche
-TECNICA E TATTICA
Massimo sviluppo dei pre requisiti tecnico-tattici in situazioni variabili
-EMOTIVITÀ
I fattori emotivi sono stimolati al massimo, specie se sotto pressione

MURO BOULDER
-SISTEMI ENERGETICI
Possibilità di lavorare su tutti i sistemi energetici e potenziarli al massimo
-REGIMI DI LAVORO
Possibilità di sviluppare forza massima specifica in tutti i regimi di lavoro
-TECNICA E TATTICA
Buono strumento per apprendere la tecnica, di scarsa utilità per le acquisizioni tattiche
-EMOTIVITÀ
Assente sviluppo delle capacità emotive (mentali ecc.)

TRAVE
-SISTEMI ENERGETICI
Possibilità di potenziare i sistemi energetici e in special modo la forza
-REGIMI DI LAVORO
Sviluppo della forza nei regimi concentrico, isometrico ed eccentrico
-TECNICA E TATTICA
Assente
-EMOTIVITÀ
Assente

CAMPUS BOARD
-SISTEMI ENERGETICI
Sviluppo esclusivo della forza di trazione
-REGIMI DI LAVORO
Sviluppo dei regimi “concentrico puro” ed eventualmente “pliometrico”
-TECNICA E TATTICA
Assente
-EMOTIVITÀ
Assente

Ciascuno dei mezzi citati presenta pregi e difetti.
Da ciò si comprende che: non esiste miglior mezzo di allenamento che non sia l’arrampicata stessa, perché è solo in questo contesto che possono essere sviluppate ottimamente tutte le componenti della prestazione, dagli aspetti psicologici a quelli tecnico-tattici oltre che ovviamente a quelli condizionali (organico-muscolari), che tra l’altro vengono allenati nelle modalità tipiche della disciplina.

La progressività nella scelta dei mezzi di allenamento

Possiamo distinguere almeno 3 categorie di arrampicatori:

  • PRINCIPIANTE (o di basso livello)
  • INTERMEDIO
  • EVOLUTO

È importante che la scelta delle esercitazioni e dei mezzi di allenamento venga fatta in maniera adeguata al livello dell’atleta. Solo in questo modo è possibile progredire in modo progressivo ed allo stesso tempo duraturo. In base alla classificazione dei mezzi fatta in precedenza, ogni categoria deve scegliere quelli più idonei allo sviluppo del suo livello. Un principiante dovrà concentrarsi quasi esclusivamente sul vertice della piramide, perché sicuramente dovrà migliorare ancora sotto gli aspetti tecnico – gestuali, senso – percettivi, propriocettivi e nella valutazione e lettura della roccia.
Per un livello intermedio, l’arrampicata resta essenziale, anche se il gesto tecnico dovrebbe essere quasi consolidato; i mezzi semispecifici globali devono comunque essere al centro degli allenamenti settimanali.
L’atleta evoluto userà mezzi di allenamento semi-specifici analitici, al limite combinati “nella seduta” o “nella serie” con il muro-boulder.
È infatti solo a più alti livelli che si hanno i massimi benefici dagli esercizi eseguiti sui mezzi di allenamento lontani dal gesto reale. Per quanto riguarda gli esercizi generali di allenamento, questi svolgono funzioni importanti a seconda degli obiettivi che si possono riassumere come segue:

  • esercizi di potenziamento dei muscoli propri dell’arrampicata: azione di irrobustimento generale
  • esercizi di potenziamento degli antagonisti: azione di irrobustimento dei muscoli meno utilizzati nel gesto dell’arrampicata (per esempio arti inferiori, extrarotatori della spalla ecc..) e “compensativi” ( riequilibrio posturale)
  • tonificazione dei muscoli addominali
  • esercizi di stretching: sia per migliorare la mobilità dell’articolazione dell’anca che per compensare e detendere la muscolatura coinvolta negli esercizi di arrampicata (flessori/estensori della dita, muscoli della braccia e del dorso ecc..) abituata a lavorare sempre in contrazione.

Tabella 5 – MEZZI DI ALLENAMENTO: IMPORTANZA E UTILIZZAZIONE IN FUNZIONE DEL LIVELLO DI PRESTAZIONE

freeclimbingcategorie

Conclusioni

L’arrampicata sportiva è uno sport di destrezza in cui le caratteristiche fisiologiche che condizionano e limitano la performance sono la Forza Massima e la Forza Esplosiva. Tali caratteristiche devono essere allenate in maniera graduale e progressiva.

sole_nascente_01

freeclimbing_4

Muri “naturali”

Per Saperne di più:

  1. ALLENAMENTO di Roberto Bagnoli (SportArrampicata – periodico della F.A.S.I. – n° 28, 2002)
  2. ALLENAMENTO: PRINCIPI E METODOLOGIE D’INDAGINE DEL FENOMENO SPORTIVO di Roberto Bagnoli (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana)
  3. ALLENAMENTO: IL CONTRIBUTO DELLA RICERCA SCIENTIFICA E LE BASI DELLA PREPARAZIONE IN ARRAMPICATA di Roberto Bagnoli (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana)
  4. ALLENAMENTO: VALUTAZIONE E CORRETTO UTILIZZO DEI MEZZI DI ALLENAMENTO: PROGREDIRE CON GRADUALITÀ (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana)

**

L'articolo L’ARRAMPICATA SPORTIVA (o “FREE CLIMBING”) sembra essere il primo su Sport e Medicina.

QUALE E’ IL SEGRETO DELL’ALLENAMENTO SPORTIVO?

$
0
0

di Giulio Rattazzi

generated_shutterstock_103860602_copia.jpg.1100x520_q85_crop

A Pasquale Bellotti, allora mio docente universitario, feci una domanda, forse ingenua o forse banale, ma nello stesso tempo maliziosa, con lo scopo di carpire chissà quali segreti, tra quelli che certamente si celavano (così io pensavo) nelle menti dei grandi esperti del movimento umano:
“Professore, mi scusi, ma qual è il segreto dell’allenamento sportivo?”
Il professore, dopo una breve riflessione, mi rispose semplicemente così:
“Il buon senso, è il buon senso il segreto.”
Questa risposta mi lasciò attonito, perplesso. Nel mio immaginario mi sarei aspettato una ben più complessa ed articolata soluzione del mondo esoterico dei guru dell’allenamento sportivo.
Tra noi calò un certo silenzio. In quel momento, da povero presuntuoso, pensai pure:
“Ma che razza di risposta è mai questa?!?”

Passarono i giorni, passarono le settimane e si avvicinava il Natale e il professore, con mia grande meraviglia, mi regalò un libriccino, accompagnandolo con queste parole:
“Qui dentro è custodito tutto quello che devi conoscere sull’allenamento sportivo, insieme alle nozioni di qualche buon libro di fisiologia (in realtà pochissimi sono buoni).”
Scartai il regalo e, con mia sorpresa e nello stesso tempo stupore, lessi il titolo del libro:
I sette saperi necessari all’educazione del futuro, di Edgar Morin.

1_

Dentro di me pensai: mah, I sette saperi necessari … Ma necessari a cosa ? A cosa? All’educazione ?!?!?
Cosa c’entra tutto questo, cioè l’educazione, con l’allenamento sportivo?!?!
Non sapevo e non immaginavo che, di lì a poco, la lettura di quel libro avrebbe cambiato non solo la mia visione dell’allenamento sportivo (fatto di test, tabelle, tecnologia, carichi ecc.), ma la visione della vita stessa.
Edgar Morin, sociologo francese, completa il discorso nel libro La testa ben fatta, nel quale introduce un concetto, secondo me fondamentale, anzi direi radicale ed essenziale, che ben si lega al buon senso a cui si riferiva Bellotti: la serendipità.

Serendipità

Morin scrive:
Lo sviluppo dell’intelligenza generale richiede di legare il suo esercizio al dubbio, lievito di ogni attività critica, che, come indica Juan de Mairena, permette di “ripensare il pensato”, ma comporta anche “il dubbio del suo stesso dubbio”. Deve fare appello all’ars cogitandi (la quale include il buon uso della logica, della deduzione, dell’induzione), l’arte dell’argomentazione e della discussione. Comporta anche quell’intelligenza che i Greci chiamavano métis, “insieme di attitudini mentali … che combinano l’intuizione, la sagacia, la previsione, l’elasticità mentale, la capacità di cavarsela, l’attenzione vigile, il senso dell’opportunità”. Infine si dovrebbe partire da Voltaire e da Conan Doyle, poi esaminare l’arte del paleontologo o dello studioso della preistoria, per educare alla:
Serendipità, arte di trasformare dettagli apparentemente insignificanti in indizi che consentono di ricostruire tutta una storia. Poiché il buon uso dell’intelligenza generale è necessario in tutti i domini della cultura umanistica e della cultura scientifica, e naturalmente nella vita, è proprio in questi domini che si dovrà mettere in rilievo il “ben pensare” che non conduce per nulla a diventare benpensanti.

Credo che la La testa ben fatta sia uno dei più grandi libri sull’allenamento sportivo, che non parlano di allenamento sportivo.

2

Agli occhi di un esperto potrei sembrare un eretico e magari secondo lui dire una serie di sciocchezze, ma provate a leggere La testa ben fatta – Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, vi accorgerete voi stessi di quanto sia importante conoscere le pagine di questo libro per comprendere a fondo i principi dell’allenamento sportivo e della formazione giovanile.
Un libro rivolto a tutti gli insegnanti, non solo, direi anche agli allenatori, allenatori che conseguono uno scopo radicale: Educare.
Educare per una vera e propria missione, missione di passione, fede e amore.
Allenare non è una parola risposta ma una parola problema. Che si percorre nel cammino dell’incertezza e non nell’illusione della periodizzazione dell’allenamento. L’allenamento è un fenomeno complesso che non può e non deve essere assoggettato a percorsi prestabiliti, per questo:

  • Strategie e non programmi

Direbbe Antonio Machado:
Caminante no hay camino sino estelas en la mar …
Viandante non c’è una via ma scia sul mare …

3

La via si fa col cammino. Non possiamo prestabilire, non possiamo programmare, non possiamo pianificare tutto. La strada dell’allenatore con il suo atleta non è mai uguale a sé stessa, vi sono sempre continui cambiamenti, cambiamenti ai cambiamenti …
Senza mai dimenticare i principi naturali, alla base dell’allenamento sportivo, allo scopo di conseguire l’obiettivo, allenare vuol dire: creare, ricreare, adattare e adattarsi alle circostanze in continuo mutamento.

4

Per questo ci viene in aiuto la teoria dei sistemi complessi con il concetto di “Orlo del Caos” descritta nel bellissimo libro Prede o Ragni di Alberto Felice De Toni e Luca Comello: L’orlo del caos è una zona in delicato equilibrio, sempre in bilico tra i due estremi dell’ordine e del disordine.
Come canta Vasco Rossi in Sally: “La vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia”.

5

L’orlo del caos, lontano dall’equilibrio, è un luogo di creazione, ma può essere anche un luogo di distruzione. Rischia di precipitare da due lati.
Da una parte si ritrova un ordine troppo statico per tenere il passo della vita e dell’evoluzione. Dall’altra parte si ritrova un disordine frenetico e incontrollabile, potenzialmente distruttivo, un’instabilità di fondo che non si sa dove porta.
L’orlo del caos è là dove la vita ha abbastanza stabilità da sostenersi e creatività sufficiente da meritare il nome di vita. Solo mantenendo il passo dell’evoluzione, solo cambiando, i sistemi complessi possono rimanere se stessi. L’orlo del caos è pertanto il luogo del cambiamento, dell’innovazione, della discontinuità.
Credo che il ruolo dell’allenatore debba essere quello di cercare sempre di gestire l’equilibrio all’orlo del Caos.
Nella Testa ben fatta, che potremmo simpaticamente ribattezzare L’allenamento ben fatto, Edgar Morin
recita un passo fondamentale, secondo me uno dei principi del modus operandi dell’allenamento sportivo:
la Strategia

6

La strategia si oppone al programma, sebbene possa riportare elementi programmati. Il programma è la determinazione a priori di una sequenza di azioni in vista di un obiettivo. Il programma è efficace in condizioni esterne stabili che possiamo determinare con certezza. Ma minime perturbazioni in queste condizioni sregolano l’esecuzione del programma e lo condannano ad arrestarsi.
La strategia si stabilisce in vista di un obiettivo, come il programma: essa prefigura scenari d’azione e ne sceglie uno, in funzione di ciò che essa conosce di un ambiente incerto. La strategia cerca senza sosta di riunire le informazioni, di verificarle, e modifica la sua azione in funzione delle informazioni raccolte e dei casi incontrati strada facendo.
Tutto il nostro insegnamento tende al programma, mentre la vita ci chiede strategia e, se possibile anche serendipità e arte. E’ proprio un ribaltamento di concezione che si dovrà attuare per prepararci ai tempi dell’incertezza.”

Bibliografia

  1. Morin E.: I sette saperi necessari all’educazione del futuro – Raffaello Cortina ed., Milano, 2002, pagg. 122
  2. Morin E.: La testa ben fatta – Raffaello Cortina Editore, Milano 2000
  3. De Toni A. F. e Comello L.: Prede o ragni? Uomini e organizzazioni nella ragnatela della complessità -Torino, Utet, 2005

allenamento-aerobico

L’Autore
Mi chiamo Giulio Rattazzi.
Mi sono occupato di diverse attività relative alle Scienze Motorie tra queste:
Allenamento sportivo, preparazione atletica, istruzione, formazione giovanile, riabilitazione, ricerca universitaria, management, pubblicazioni scientifiche, divulgazione scientifica, programmazione informatica, sviluppo e invenzioni di tecnologie, consulenze scientifiche, insegnamento, disabilità, didattiche innovative, valutazione funzionale dell’atleta con invenzione di metodo statistico (Catturare l’evoluzione dei fenomeni con il ricalcolo dei punteggi “z”) e ideazione di software dedicati, ideatore e realizzatore di DeMotu.

Giulio Rattazzi, IJumpV2Free©, (SIAE) Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, numero progressivo: 008344, ordinativo: D007543, 03-04-2012, ottenibile dal sito web: www.demotu.it

**

L'articolo QUALE E’ IL SEGRETO DELL’ALLENAMENTO SPORTIVO? sembra essere il primo su Sport e Medicina.

PIEDE E POSTURA: UN LEGAME INSCINDIBILE

$
0
0

Giovanni Chetta

Il piede rappresenta il punto fisso al suolo su cui grava l’intero peso del corpo. Esso si trova alla base del sistema di controllo antigravitario (sistema tonico posturale) che consente all’uomo di assumere la postura eretta e di spostarsi nello spazio. Il piede è sia un effettore sia un ricettore ossia riceve ed esegue dei comandi (risposta motoria), tramite i muscoli, e, nel contempo, interagisce col resto del corpo fornendo costanti informazioni provenienti dagli esterocettori cutanei presenti sulla sua pianta e dai propriocettori dei suoi muscoli, fascia, tendini e articolazioni. Gli esterocettori cutanei del piede sono ad alta sensibilità (0.3 g) e rappresentano l’interfaccia costante tra l’ambiente e il sistema dell’equilibrio. Le informazioni plantari infatti sono le uniche a derivare da un recettore fisso a diretto contatto col suolo.

Il piede, nel corso dell’evoluzione, per le esigenze sorte nell’assunzione della stazione eretta e della deambulazione bipodale, risulta un diaframma atto ad (FIG. 1) assorbire e smistare le forze esterne (ambientali) e interne (muscolari), relativamente agli infiniti piani dello spazio.

Fig. 1

La struttura del piede è un capolavoro unico di architettura, o meglio di biomeccanica, con le sue 26 ossa, 33 articolazioni e 20 muscoli. Funzionalmente e strutturalmente, è possibile suddividere il piede in:
retropiede formato da astragalo (talus) e calcagno, “dispositivo centrale” del controllo biomeccanico della gravità;
avampiede formato da scafoide (navicolare), cuboide, 3 cuneiformi (definiti anche mesopiede; il mesopiede più il retropiede forma il tarso), 5 raggi metatarsali (metatarso) e le falangi delle 5 dita; funge da “adattatore e reattore”.
Il piede, nel suo ruolo di “base antigravitaria”, in un primo tempo prende contatto con la superficie di appoggio adattandosi ad essa rilasciandosi, successivamente si irrigidisce, divenendo una leva per “respingere” la superficie stessa. Il piede deve quindi alternare la condizione di rilasciamento con la condizione di irrigidimento. L’alternanza di lassità-rigidità giustifica l’analogia con l’elica a passo variabile. Retropiede e avampiede si dispongono infatti in piani che si intersecano in modo variabile. Nella condizione ideale, il retropiede è disposto verticalmente e l’avampiede orizzontalmente (su una superficie di appoggio orizzontale). A piede sotto carico la torsione tra retropiede e avampiede si attenua nel rilassamento (il piede diviene una piattaforma modellabile) e si accentua nell’irrigidimento (il piede diviene una leva). La disposizione ad arco è in realtà apparente essendo espressione del grado di avvolgimento dell’elica podalica. Il piede quindi non ha il significato di un arco o volta reale ma apparente, che si alza durante l’avvolgimento e si abbassa durante lo svolgimento dell’elica. L’avvolgimento dell’elica, con la conseguente accentuazione dell’apparente disposizione ad arco, corrisponde al suo irrigidimento. Lo svolgimento dell’elica, con conseguente attenuazione dell’arco apparente, è il rilasciamento.
La torsione, l’avvolgimento, dell’elica podalica è connessa alla rotazione esterna dei segmenti sovrapodalici (gamba e femore). L’astragalo ruotando all’esterno solidalmente con le ossa della gamba, sale sul calcagno chiudendo in tal modo l’articolazione medio-tarsica; il retropiede si verticalizza. L’avampiede aderente tenacemente al suolo reagisce alle forze torcenti applicate sul retropiede; il piede è quindi irrigidito. Viceversa avviene nel rilasciamento dell’elica podalica che è associato alla rotazione interna dell’arto inferiore.

L’astragalo (talus) è un osso con cui non prende rapporto diretto nessun muscolo (non presenta inserzioni muscolari), si muove a seguito delle forze trasmesse dalle ossa adiacenti. L’astragalo è un osso del piede in quanto è solidarizzato al calcagno e allo scafoide (navicolare) nelle rotazioni sul piano sagittale (flesso-estensione) ed è osso della gamba in quanto è solidarizzato con la tibia e il perone, tramite la pinza bimalleolare, nelle rotazioni dei segmenti sovrapodalici sul piano trasverso (intra-extrarotazioni).

Tali rotazioni sul piano frontale (a livello podalico) e sul piano trasverso (a livello degli arti inferiori e del tronco) avvengono costantemente in statica (che in realtà e un caso specifico di deambulazione) e, ancor più, nella deambulazione propriamente detta.

Il ciclo della deambulazione (Fig. 2) è compreso fra i due appoggi calcaneari dello stesso piede ed è costituito da una fase oscillante, ossia non comportante sostegno del corpo, che si verifica tra il distacco delle dita dal suolo e il successivo l’appoggio del tallone dello stesso piede (corrisponde a ca. il 40% del ciclo completo), e la fase portante (occupante ca. il restante 60% del ciclo).

Fig. 2

La fase portante è suddivisibile in:
A) Appoggio calcaneare (ricezione)
Al contatto del calcagno con la superficie di appoggio (ricezione), l’elica si rilascia per consentire la lassità del piede atta ad ammortizzare il peso del corpo e ad adattarsi alla superficie stessa. A tal fine l’arto inferiore ruota internamente, l’astragalo, ad esso solidale, ruota quindi anch’esso internamente (supinando), il calcagno prona, ruotando esternamente. L’assunzione del peso da parte del piede è graduale ed è massima nel momento in cui la linea gravitaria cade nel centro della superficie podalica.
B) Appoggio totale (contatto)
Quando tutta la superficie plantare è a contatto con la superficie, la rotazione (Fig. 3) interna dell’arto si trasforma bruscamente in rotazione esterna. Ciò fa scattare il meccanismo che ha come sede l’articolazione sotto-astragalica.

Fig. 3

Seguendo la rotazione dell’arto, l’astragalo ruota sul piano trasverso esternamente (per circa 12° mediamente) pronando e risalendo al di sopra del calcagno (allontanandosi dal legamento calcaneo-scafoideo-plantare). A sua volta il calcagno ruota internamente, supinando attorno all’asse di compromesso (asse “momentaneo” attorno al quale avviene il processo di prono-supinazione dell’a: il retropiede si verticalizza tramite l’avvitamento reciproco astragalo-calcaneare. Il cuboide, tenacemente collegato al calcagno, migra plantarmente assumendo “sulle sue spalle” la serie dei cuneiformi. L’avampiede si dispone in contrasto rotatorio con il retropiede per la reazione al suolo. Si ha così l’avvolgimento dell’elica podalica e il conseguente “inarcamento” del piede: l’articolazione medio-tarsica è bloccata e si ha il contemporaneo passaggio del peso sul IV e V metatarso per eversione dell’avampiede non ancora rigido. Il muscolo peroniero lungo (lungo peroneo) richiama a contatto col suolo la testa del I metatarso eseguendo un lavoro di stabilizzazione facendo si che il peso sia ora distribuito su tutte le teste metatarsali (ventaglio metatarsale); il piede si trasforma da elica in rigida “barra di leva”.
C) Appoggio digitale (propulsione)
Il calcagno si solleva dal terreno. Le dita dopo essersi adattate tenacemente alla superficie di appoggio si flettono dorsalmente. Ciò fa sì che la aponeurosi plantare si accorcia tendendosi di circa 1 cm (le digitazioni dell’aponeurosi plantare raggiungono le falangi basali corrispondenti, connettendosi al periostio, nei segmenti adiacenti alle articolazioni) innescando il meccanismo dell’argano che completa la coesione intrapodalica. Il centro di gravità del corpo migra ventralmente e il corpo si avvia a cadere in avanti. L’intervento del controllo muscolare, in particolare del muscolo tricipite surale, formato da gastrocnemio e soleo (oltre al tibiale anteriore, tibiale posteriore, peroneo lungo e flessori dorsali) e il tempestivo contatto controlaterale, esercitano azione da freno.
Nella fase propulsiva le forze intrinseche agenti sul piede sono pari a 3-4 volte il peso del corpo. In situazione di corretta fisiologia il piede si comporta a elica in modo tale che la proiezione a terra del baricentro corporeo resti perlopiù centrata ossia passi lungo il proprio asse, che corrisponde all’incirca all’asse podalico, asse passante centralmente al retropiede e al centro tra II e III dito (Paparella Treccia 1978, Pacini 2000).
Quando il ginocchio è in flessione sono possibili movimenti della gamba sia in lateralità (di 1-2 cm alla caviglia) che in rotazione assiale (rotazione esterna di 5°). Ciò risulta necessario per consentire un ottimale appoggio del piede in rapporto all’irregolarità del terreno. In estensione completa invece il ginocchio, essendo sottoposto a importanti forze di carico, presenta, in condizioni fisiologiche, una grande stabilità; si verifica pertanto un blocco articolare che solidarizza la tibia al femore (Kapandji 2002). Pertanto, in condizione di flessione, il ginocchio è in grado di “filtrare” le rotazioni del piede e della gamba mentre, quando esso è completamente esteso, tali rotazioni si trasferiscono integralmente al femore influenzando di conseguenza ilcingolo pelvico (in particolare, l’articolazione coxo-femorale e l’articolazione astragalo-scafoidea sono analogamente strutturate e corrispondentemente disposte).
La rotazione del femore sul piano trasverso comporta una spinta meccanica da parte della superficie articolare del collo femorale sull’acetabolo, la messa in tensione di determinati legamenti dell’anca e lo spostamento dei baricentri degli emisomi (centri di pressione). Così, ad esempio, una intrarotazione del femore può passivamente determinare un’iniziale anteversione (anterior tilt) dell’emibacino corrispondente e, in seguito alla messa in tensione dei legamenti posteriori (legamento ischio-femorale) e dello spostamento anteriore del baricentro dell’emisoma corrispondente, una rotazione del bacino che segue quella del femore. Viceversa, una extrarotazione del femore può indurre retroversione dell’emibacino omolaterale seguita da una corrispondente rotazione del bacino per tensione dei potenti legamenti anteriori (in particolare il fascio superiore del legamento ileo-femorale, denominato l’ileo-pretrocanterico, e il pubo-femorale) e spostamento posteriore del baricentro dell’emisoma relativo.

Nella posizione di riferimento i legamenti dell’anca (Fig. 4) sono moderatamente tesi. Nella rotazione esterna tutti i forti legamenti anteriori sono tesi (la tensione è massima a livello dei fasci a decorso orizzontale ossia l’ileo-pretrocanterico e il legamento pubo-femorale) mentre quelli posteriori (legamento ischio-femorale) è deteso. Nella rotazione interna avviene l’inverso, il legamento ischio-femorale si tende mente i legamenti anteriori si rilasciano (Kapandji 2002).

 

Fig. 4

La rotazione del bacino si riflette direttamente a livello del rachide lombare (FIG. 5).

Fig. 5

La struttura legamentosa e ossea delle vertebre nonché le caratteristiche di “energy converter” del disco intervertebrale fanno si che sulla colonna vertebrale agisca una “coppia di forze” (coupled motion) (Fig. 6).

Fig. 6

Ciò corrisponde al primordiale e primario bisogno del rachide di ruotare le pelvi nell’atto della locomozione (Gracovetsky, 1988). Pertanto la flessione laterale del tratto lombare si associa sempre a una rotazione vertebrale e viceversa (White & Panjabi, 1978). La modesta capacità di rotazione del tratto lombare (5°, Kapandji 2002) “impone” l’utilizzo di parte del dorso (in grado ruotare per circa 30°, Kapandji 2002), ad esempio, durante la deambulazione.
Affinché però lo sguardo possa dirigersi sempre verso l’orizzonte a livello delle spalle e del tratto dorsale superiore (da D8 in su) necessita una contro-rotazione e una flessione laterale opposta (rispetto al tratto rachideo inferiore e al bacino).
L’atteggiamento scoliotico dell’elica rachidea così come quello del piede piatto (elica podalica svolta) e valgo (elica podalica avvolta) rappresentano quindi fenomeni fisiologici transitori tra loro connessi e divengono patologici solo quando si manifestano in maniera stabile.
Nel contesto della biomeccanica e della patomeccanica, si evidenzia quindi un robusto ponte che connette il piede ai segmenti corporei soprastanti sino a raggiungere potenzialmente le articolazioni cervico-occipitale temporo-mandibolari e viceversa, interessando tramite la rete di tensegrità mio-connettivale l’intero organismo.

BIBLIOGRAFIA

  • Gracovetsky S.: The Spinal Engine – Springer-Verlag/Wien (1988)
  • Kapandji I.A.: Fisiologia articolare – Maloine Monduzzi Editore (2002)
  • Pacini T.: Studio della postura e indagini baropodometrica – Chimat (2000)
  • Paparella Treccia R.: Il piede dell’uomo – Verduci Editore (1978)
  • White A.A., Panjabi M.M.: Clinical Biomechanics of the Spine – Lippincott (1978)

 

Note sull’autore:
Il Dr. Giovanni Chetta è Alimentarista a indirizzo biochimico, Massofisioterapista, Posturologo Ergonomista (iscritto all’albo specialistico A.S.Bio.P.), Istruttore MBT e Master Practitioner in Programmazione Neuro-Linguistica.
Collabora in campo posturologico con l’Università Charitè di Berlino, l’equipe di Biomedica Posturale e l’Accademia MBT.
Collabora con riviste e giornali del settore.
Conduce corsi su: posturologia, ginnastica posturale, massaggio (bodywork).
Presidente dell’Associazione Culturale – Sportiva AssoTIB (Alfa/CSAIn/CONI).

**

L'articolo PIEDE E POSTURA: UN LEGAME INSCINDIBILE sembra essere il primo su Sport e Medicina.

7-8 Aprile 2018 – Allenamento della forza e ricondizionamento muscolare post-infortunio

$
0
0

EDI-Academy (www.ediacademy.it)

Allenamento della forza e ricondizionamento muscolare post-infortunio

7-8 Aprile 2018 – Milano, Italia

Nella nostra evoluzione la forza ha avuto un ruolo importante per la sopravvivenza. Oggi in un ambiente meno selettivo, la forza muscolare ha perso la sua importanza primordiale. La forza è allenata sia per potenziare le prestazioni sia come mezzo per rendere il corpo “scolpito” e attraente; in campo rieducativo e riabilitativo per produrre il corretto movimento. Tra svariate metodiche sviluppate nel corso degli anni come riconoscere le più efficaci per le proprie esigenze? Il corso di Giovanni Gandini (Dottore in Scienze motorie, Docente a.c. Facoltà di Scienze della Formazione, Università Cattolica del Sacro Cuore) e Fabio Pilori (Dottore in Scienze motorie, tecnico specialista FIDAL) porterà i frequentanti a conoscere la forza nelle sue espressioni e a utilizzare le metodologie di allenamento specifiche per il morfotipo, valutando vantaggi e svantaggi delle metodologie più utilizzate per programmare il potenziamento muscolare a tutte le età, nella rieducazione motoria e nel ricondizionamento post-infortunio di sportivi.

Segreteria Organizzativa Edi.Ermes
Tel. 02.70.21.12.74 – Fax 02.70.21.12.83

e-mail formazione@eenet.it
www.ediacademy.it
www.eenet.it

ACCREDITAMENTO ECM
(16 CREDITI FISIOTERAPISTI)

11119754_827540930628116_2641104293768380644_n

L'articolo 7-8 Aprile 2018 – Allenamento della forza e ricondizionamento muscolare post-infortunio sembra essere il primo su Sport e Medicina.


CALZETTI & MARIUCCI Editori – Novità

$
0
0

calzetti1

DIVENTARE AGILI E FORTI COME UN LEOPARDO
Kelly Starrett

DESCRIZIONE – Un manuale di grande efficacia per risolvere le sindromi dolorose, prevenire gli infortuni e ottimizzare la prestazione sportiva

L’autore si è posto l’obiettivo di creare, con questo manuale, un sistema onnicomprensivo sulla tematica del movimento umano, finalizzato al miglioramento della prestazione sportiva e alla risoluzione delle problematiche e delle disfunzioni motorie fonti di limitazioni della performance e di infortuni. Nel contempo Kelly Starrett ha voluto fornire ai soggetti interessati gli strumenti necessari per il miglioramento della mobilità, per la prevenzione e il trattamento di lesioni e sindromi dolorose. Tutto ciò attraverso un sistema, evoluto e perfezionato nel tempo, ed estremamente convincente nella proposta di idee e tecniche di facile apprendimento, assimilazione e messa in pratica. A una esauriente sezione introduttiva su principi e linee-guida del progetto, fa seguito la trattazione delle corrette tecniche degli esercizi (squat, piegamenti, girate ecc.) da utilizzare e quella ricchissima sulle tecniche di mobilizzazione (mobs) finalizzate all’eliminazione del dolore e a migliorare la postura; nella parte finale Starrett illustra le prescrizioni di mobilità intese come assemblaggio ottimale dei mobs. L’opera è uno strumento di lavoro di assoluta originalità che offre soluzioni procedurali praticamente infinite per tutti gli specialisti del fitness, dello sport e della riabilitazione ed è utilizzabile, per chiarezza e semplicità di linguaggio, anche da tutti gli appassionati.

calzetti2

PROGRAMMAZIONE E DIARIO ANNUALE DI ALLENAMENTO FUNZIONALE
Luca Dalseno

DESCRIZIONE – 52 settimane di lavoro – oltre 200 work-out, tutti diversi tra loro

Diario di allenamento, basato sull’utilizzo di esercizi del Functional Training, che copre un anno intero di lavoro e strutturato su 52 settimane con tre allenamenti a settimana più una seduta jolly. Ogni seduta viene illustrata con una rappresentazione fotografica degli esercizi da svolgere, per ognuno dei quali vengono suggerite serie, ripetizioni e intensità di lavoro espressa percentualmente sulla massima prestazione. Vengono indicati anche i tempi di recupero per ogni attività, completando così un quadro di lavoro che è stato collaudato dall’Autore personalmente e testato su atleti amatori e professionisti di varie specialità sportive: su di essi, l’intero programma ha permesso un notevole miglioramento di tutte le tipologie di abilità atletiche.

calzetti3

IL METODO DELLO STRETCHING GLOBALE ATTIVO – SGA
Philippe Souchard

DESCRIZIONE – Le autoposture e le autoposture respiratorie della Rieducazione Posturale Globale – RPG

Le autoposture dello SGA-Stretching Globale Attivo, suggerite nel manuale dall’ormai celebre Philippe Souchard, sono state inizialmente ideate per una applicazione nello sport: il loro obiettivo era la preparazione allo sforzo, la prevenzione delle lesioni e il recupero dopo l’attività motoria, con risultati, anche in termini di miglioramento della performance, che hanno superato immediatamente le aspettative. Quando poi sono state chiaramente sistematizzate, si è iniziato ad applicarle anche ai soggetti non sportivi: attualmente si riscontra che l’80% delle lesioni dolorose muscolo-scheletriche siano dovute alle alterazioni della morfologia corporale da posture associate alle attività lavorative e si raccomandano forme di attività fisica che sono indiscutibilmente necessarie ma non sprovviste di inconvenienti, poiché, non si oppongono totalmente agli accorciamenti muscolari, e lo Stretching Globale Attivo può evitare gli inconvenienti in cui si può incorrere durante le attività quotidiane e aiutare a prevenirne gli effetti negativi.

calzetti4

STRENGHT TRAINING
Valerio Vaccaro, Enrico Bomboletti

DESCRIZIONE – Progressione didattica per l’insegnamento degli esercizi di forza: squat, panca piana, stacco da terra e loro varianti

Scopo del manuale è quello di fornire una metodologia didattica ad allenatori e personal trainer che approccino l’insegnamento degli esercizi di forza e delle loro varianti, ai loro clienti e ad atleti alle prime armi. Obiettivi speciali i particolari a cui dare attenzione nella valutazione nell’esecuzione del gesto, la selezione delle priorità imprescindibili perché lo stesso risulti efficiente ed efficace, il riconoscere le problematiche inerenti alla tecnica esecutiva e il saper correggere i difetti attraverso una osservazione critica del movimento. Un complesso di elementi che possono elevare i livelli qualitativi di un allenatore e di un personal trainer nella ricerca della massima efficacia lavorando in totale sicurezza. Argomenti principali trattati lo squat, la panca piana, lo stacco da terra, l’utilizzazione delle resistenze applicate all’alzata e la programmazione di base con relative sezioni dedicate ai rispettivi insegnamenti, suggerendo set-up, posizionamenti e fasi progressive. Uno strumento molto curato e completo per tutti gli addetti ai lavori che presenta nell’impostazione caratteri di assoluta attualità e livelli di modernità che nulla hanno da invidiare ai più apprezzati manuali presenti nella letteratura internazionale. Una guida teorico-pratica che risulterà utilissima agli operatori del fitness per interfacciarsi con allievi e clienti, e per gli stessi appassionati che potranno trovare nella chiarezza espositiva del testo le risposte ai numerosi quesiti che l’argomento suggerisce.

calzetti5

LA RIATLETIZZAZIONE
Mathieu Chirac

DESCRIZIONE – I grandi principi

La gestione degli infortuni e già stata oggetto di numerose trattazioni in altre opere, nella maggior parte dei casi da parte di professionisti con specializzazioni in medicina, kinesiterapia, osteopatia. Appare evidente, esaminando questi lavori, che i principi della rieducazione riguardanti le patologie degli sportivi sono ben note a tutti loro. Lo sportivo infortunato costituisce pero un caso a sé e presenta altri diversi requisiti ed esigenze. Si pone in particolare ii problema delle procedure di riatletizzazione e di reintegro delle risorse fisiche ai loro massimi livelli, all’interno del processo di ritorno alla pratica sportiva. Questa manuale, elaborato sulla base di osservazioni e riflessioni dell’autore raccolte nel corso della propria attività sul campo, si propone di mettere in evidenza qualche principio metodologico sull’approccio al lavoro di recupero atletico e vuole essere una guida per gli operatori del settore. Mathieu Chirac e il responsabile de/la sezione specializzata in riatletizzazione presso l’INSEP (Institut National du Sport, de l’Expertise e de la Performance) di Parigi.

calzetti6

WARM UP E MODERNI APPROCCI ALL’ALLENAMENTO
Mario Marella, Massimo Gulisano, Marta Radini, Paolo Spicuglia, Paolo Bosi

DESCRIZIONE – La metodologia PAP – Post Activation Motivation

Dopo aver esaminato nella letteratura nazionale ed internazionale la fase del riscaldamento (warm up) e aver trovato dei principi base, gli Autori notano come in realtà tale fase presenti un gran numero di varianti metodologiche e didattiche orientate verso esigenze tecniche sport-specifiche, fisiologiche e psicologiche diverse. Si è stabilito dunque l’obiettivo di immettere nel circuito dei tecnici dello sport una metodica sperimentata che usasse alcune strategie già presenti nella letteratura. Il libro vuole spiegare i vantaggi e svantaggi di questa tecnica collaudata da circa 40 anni, ma che recentemente ha acquistato popolarità e importanza nel campo della performance atletica perché offre un nuovo approccio per ottimizzare la produzione di forza e di potenza nel gesto sportivo: la PAP (Post Activation Potentiation) infatti è una metodica di approccio all’allenamento che viene qui proposta come warm up negli sport di potenza. Nella parte finale del libro, il lettore troverà esempi di programmi di warm up creati sulla base dei principi e dei concetti illustrati e proposti dopo esperienze e studi applicativi che possono dare spunto ad una diversa visione e offrire ad allenatori, istruttori, docenti di Educazione fisica, esempi e strumenti per una nuova concezione del riscaldamento.

calzettiemariuccinovità

Leggi la nuova informativa sulla privacy, ai sensi dell’ART. 13 del Regolamento UE 2016/679

Per informazioni e ordini
+39 075-5997310
e-mail: info@calzetti-mariucci.it

L'articolo CALZETTI & MARIUCCI Editori – Novità sembra essere il primo su Sport e Medicina.

L’ALLENAMENTO SPECIFICO PER LE MANIGLIE DELL’AMORE

$
0
0

Una serie di esercizi facili, ma da eseguire con costanza, per contrastare l’accumulo di grasso nel girovita

maniglie1

Testo di Cinzia Galleri
Foto di Carola Lafuenti

Chi le ha, e cerca disperatamente di debellarle, di amorevole ci vede ben poco. Perché le maniglie dell’amore altro non sono che degli accumuli di tessuto adiposo a livello dei fianchi o dell’addome. A differenza di temutissimi inestetismi come la cellulite o le culotte de cheval, colpiscono anche l’universo maschile, ma in modalità e secondo ragioni differenti rispetto alle donne.
«Il nome è unico ma riflette due condizioni diverse», spiega Stefano Carlini, chinesiologo e docente di tecniche del fitness alla facoltà di scienze motorie dell’Università di Urbino. «Nelle femmine si tratta di cuscinetti sui fianchi, mentre per gli uomini si parla di un vero e proprio grasso viscerale, somigliante più a una ciambella che a delle maniglie: la classica pancetta, insomma».

PREDISPOSIZIONE GENETICA
La ragione di questa diversità è da ricercare nelle cause. Per lo specialista l’eredità genetica e antropologica ha un peso importante nella formazione del corpo di ogni individuo.
«Il fisico femminile si divide essenzialmente in due tipologie che sono androide e ginoide, ovvero le classiche forme “a mela” (busto largo e gambe sottili) e “a pera” (fianchi larghi e spalle strette)», prosegue Carlini. «Ovviamente queste classificazioni sono delle estremizzazioni, in mezzo alle quali esistono infinite sfumature. Una donna con un corpo a pera è più predisposta ad accumulare grasso lungo i fianchi, se non
altro perché, per natura, questo tessuto adiposo dovrebbe esserle d’aiuto in caso di gravidanza, in quanto protegge il feto che porta in grembo».
Il mondo maschile non risente di questa classificazione antropologica. «Fondamentalmente la pancetta degli uomini è il risultato dello stile di vita e dell’alimentazione», aggiunge il fisiatra. «Un lavoratore che sta tutto il giorno seduto davanti al computer e l’unico movimento che fa è quello di andare all’aperitivo prima di cena è molto probabile che sviluppi quella ciambella di grasso».

STILI DI VITA DA CORREGGERE
Predisposizione a parte, occorre fare attenzione agli stili di vita, perché con la biologia non si scherza.
«Sia le donne sia gli uomini possiedono milioni di cellule, chiamate lipociti», chiarisce lo specialista. «Semplificando, potremmo definirli i palloncini che formano il tessuto adiposo. In uno stato di benessere fisico i lipociti sono “sgonfi”, mentre in casi di sovrappeso o eccesso di massa grassa si gonfiano, andando a formare gli inestetismi».
Per tenere questi palloncini sgonfi, quindi, non ci sono scorciatoie o pozioni miracolose e l’unica ricetta per evitare di andare incontro alle maniglie dell’amore e ai rotolini di ciccia è quella che prende in considerazione due ingredienti: la corretta alimentazione e l’allenamento adeguato.

RIDURRE I CARBOIDRATI
Affermare che una alimentazione sana e bilanciata sia necessaria per mantenere una buona forma fisica pare un’ovvietà, eppure, annota Carlini, «ancora molte persone non hanno capito che tutto quello che si ingerisce ha un riscontro sull’aspetto fisico, specie se assunto come abitudine. Ecco perché è importante sostituire nella quotidianità alcuni alimenti con altri. Sono soprattutto i carboidrati a trasformarsi in rotolini di ciccia: non bisogna certo abolirli dalla propria tavola, ma vanno ridotti se superano il 55-60% del totale delle calorie assunte nella giornata e fra i cereali andrebbero privilegiati quelli integrali, in modo da tenere bassi i livelli di glicemia. Bisogna invece rinunciare agli alcolici, che forniscono calorie inutili. Nessun limite a frutta e verdura di stagione, fresca e non cucinata con condimenti pesanti. Infine, meglio tenersi alla larga dai cibi confezionati, anche se presentano diciture come “light” o “senza zuccheri” (che probabilmente contengono più grassi) o “-30% di grassi” (che magari sono pieni di zuccheri)».
Senza farne un’ossessione, naturalmente: la regola ammette l’eccezione e non è certo la fetta di torta fatta in casa, mangiata la domenica, a provocare le maniglie dell’amore.

ATTIVITÀ AEROBICA E NON
La dieta da sola, però, non basta. Va associata a un’attività fisica proporzionata e costante. «Se hai messo le scarpette da corsa sei già a metà dell’opera», riassume il fisiatra. Perché, soprattutto per chi non è incline al movimento o è fermo da tanto tempo, iniziare ad allenarsi con costanza costa fatica, sia mentale sia fisica. «Per questo motivo sono sufficienti, all’inizio, 15 minuti di corsa o cyclette o nuoto, che poi diventeranno 20, 25 e così via, fino ad arrivare a 40 minuti», consiglia Carlini. «L’errore più grande che si possa commettere è quello di partire con uno sforzo troppo intenso e poi abbandonare perché stremati».
A questa attività aerobica va abbinato un programma di esercizi specifici, come l’esempio di allenamento proposto in queste pagine da Valentina Delmonte, docente alla facoltà di scienze motorie dell’Università di Pavia e trainer della palestra Sensus Club di Milano.
«Ognuno può decidere in maniera autonoma il livello di intensità da dare alla propria attività», dice l’esperta. «Gli esercizi proposti sono facili e sicuri, in modo tale che chiunque possa eseguirli». Anche in questo caso, il consiglio della trainer è di non partire in quarta, soprattutto se si è in sovrappeso, ma di arrivare progressivamente ad allenarsi tutti i giorni.
Con un’ultima avvertenza: prima di fare gli esercizi consulta il tuo medico se soffri di una qualsiasi forma di mal di schiena o di deviazioni della colonna vertebrale (come lordosi o cifosi) e se hai ernie ombelicali o inguinali.

L’allenamento specifico per LE MANIGLIE DELL’AMORE

Una serie di esercizi facili, ma da eseguire con costanza, per contrastare l’accumulo di grasso nel girovita

maniglie2 maniglie3 maniglie4


come-eliminare-le-maniglie-dell-amore

SI RINGRAZIA OK SALUTE & BENESSERE PER AVER AUTORIZZATO LA RIPRODUZIONE DELL’ARTICOLO

logooksalute

L'articolo L’ALLENAMENTO SPECIFICO PER LE MANIGLIE DELL’AMORE sembra essere il primo su Sport e Medicina.

MASSAGGIO SPORTIVO

IL LIBRO DEL CROSS TRAINING – Un Manuale per l’Allenamento e l’Home Fitness, un testo per la scuola

$
0
0

IL LIBRO DEL CROSS TRAINING
Un Manuale per l’Allenamento e l’Home Fitness, un testo per la scuola

crfosstraining

Piero Ambretti – Valter Durigon

Il libro del cross training, oltre a costituire un manuale di pratica e immediata consultazione che permette di svolgere un’attività fisica efficace e razionale, rappresenta anche un valido compendio per acquisire una serie di informazioni scientifiche, soprattutto di natura fisiologica e biomeccanica, che sostengono teoricamente e metodologicamente le prassi dell’allenamento. Il manuale assolve ad una doppia funzione: – stimolare a svolgere attività fisica di qualità anche in spazi limitati e con attrezzature carenti; – apprendere nozioni scientifiche sul corpo umano e sulle sue funzioni in rapporto al movimento. Questi aspetti rendono il libro particolarmente indicato per la scuola, tanto da poter essere considerato un vero e proprio testo di riferimento, con molti elementi di trasversalità per ciò che riguarda le Scienze Naturali e la Fisica. Contemporaneamente, Il libro del cross training rappresenta uno strumento per mantenersi in forma autonomamente, in quanto fornisce suggerimenti e sistemi applicativi (una batteria di test e le modalità per calcolare il Coefficiente di Densità) che consentono di monitorare costantemente i propri livelli prestativi e parametri fisiologici per modulare opportunamente i carichi di lavoro. La possibilità di controllare i carichi indotti dai programmi di Cross Training proposti, consente di ottenere indicazioni funzionali al miglioramento delle prestazioni sportive, anche di atleti agonisti. Nel volume sono inoltre presenti sessioni dedicate alla descrizione delle corrette modalità esecutive di alcuni esercizi e alle fasi di riscaldamento e di defaticamento. Il libro del cross training contiene 64 schede operative. Ogni scheda è costituita da 5/6 esercizi illustrati attraverso disegni chiari ed originali, e rappresenta una singola sessione di lavoro della durata complessiva di 35 minuti circa, riscaldamento e defaticamento compresi. Il volume è corredato da un supporto video contenente 69 esercizi di coordinazione globale per il controllo intersegmentale differenziato e di abilità nella gestione di attrezzi vari: ball-handling e giocoleria.

 calzettimariuccilogo

L'articolo IL LIBRO DEL CROSS TRAINING – Un Manuale per l’Allenamento e l’Home Fitness, un testo per la scuola sembra essere il primo su Sport e Medicina.

REAZIONE VINCOLARE SUOLO – PIEDE E INFORTUNI NEL PODISTA

$
0
0

foto1

A cura di Dino Caprara
Con la collaborazione di Luca Russo
Foto per gentile concessione di APTraining di Alessio Piccioni

 

Introduzione

È d’obbligo una premessa: correre è alla portata di tutti e “qualsiasi soggetto è perfettamente allenabile” (Prof. Tivoli – Docente di Metodologia dell’Allenamento – Facoltà di Scienze Motorie dell’Aquila), ma non è tutto così scontato! Bisogna iniziare dalle basi e anche il correre necessita, come qualsiasi altro sport, di una buona tecnica da apprendere.
Un podista sofferente, normalmente riferirà dolore all’arto inferiore in una o più articolazioni tra piede, caviglia e ginocchio; secondariamente potrebbe riferire dolore all’anca che con buona probabilità significherà riscontrare una contrattura al piriforme o all’ileopsoas nella sua inserzione, in altri casi svilupperà una lombalgia.
Dai sintomi riferiti si aprono svariate concause per le quali si potrebbe parlare per giorni: Scarpe non idonee? Inizio troppo intenso per le proprie possibilità? Tecnica inesistente? Terreno troppo duro o comunque poco elastico?
Questo articolo analizzerà proprio quest’ultimo punto: il rapporto con il terreno.

Biomeccanica della corsa (Luca Russo)

Come riportato da Russo et al. (2019): “La corsa si differenzia dalla marcia per la presenza della fase di volo tra un appoggio e il successivo, ovvero quel momento in cui entrambi i piedi sono sollevati da terra. Nella marcia l’energia cinetica e l’energia potenziale sono fuori fase, con quella potenziale che ha lo Zenith nel momento centrale dell’appoggio ed il Nadir durante il doppio appoggio e viceversa, mentre nella corsa sono in fase (Novacheck, 1998) ed il corridore si muove come se si trovasse su di un Pogo-Stick * (Alexander, 1992), ovvero accelerando se stesso dalla fase intermedia dell’appoggio (quando avviene l’inversione fra le due gambe) fino ad un apice che si verifica durante la fase di volo.

330px-Emisferi_celesti.svgLa sfera celeste: Zenit e Nadir in evidenza
In beige, il piano dell’orizzonte astronomico; in azzurro l’emisfero celeste visibile, in blu quello invisibile
C è il centro della Terra e della sfera celeste, mentre O è l’osservatore terrestre


*
POGO-STICK
: è un trampolo a molla brevettato nel 1957 da George Hansburg, fondatore della Flybar Inc. A metà tra il giocattolo e l’attrezzo e l’attrezzo ginnico, esso permette di allenarsi in modo efficace potenziando doti atletiche, capacità di coordinazione ed equilibrio.

pogostick

Il corpo umano, a causa di questa differenza, usa metodi completamente diversi per funzionare efficientemente: nella marcia, infatti, l’efficienza è garantita dalla trasformazione dell’energia potenziale in energia cinetica, mentre nella corsa ciò non è possibile e per questo sono fondamentali due meccanismi (Roberts et al., 1997):

  1. L’utilizzo dell’elasticità muscolare, mediante pre-stiramento delle strutture elastiche del muscolo
  2. Un efficace trasferimento dell’energia tra un segmento corporeo e l’altro, attraverso l’utilizzo dei muscoli bi-articolari

Nella corsa, infatti, l’energia cinetica e quella potenziale raggiungono il loro massimo a metà della fase di volo; successivamente, con la discesa del baricentro, si perde energia potenziale e, al contatto del piede col terreno, anche di quella cinetica. Entrambe vengono convertite in energia potenziale elastica immagazzinata nei muscoli, nei tendini e nei legamenti, la quale si trasformerà in energia cinetica durante la fase di generazione della spinta, andando ad integrare l’energia prodotta dalla contrazione concentrica della muscolatura dell’arto inferiore. La muscolatura, in special modo quella bi-articolare, gioca un ruolo fondamentale nel trasferimento dell’energia da un segmento all’altro del corpo.
Se si prendono come esempio i muscoli posteriori della coscia, gli ischio-crurali, è possibile comprendere come questi “si contraggano prossimalmente per estendere la coscia sul bacino nella seconda metà della fase di oscillazione in preparazione al contatto, ma contemporaneamente producano un momento flettente al ginocchio per controllare la rapida estensione dello stesso prima del contatto stesso (Novacheck, 1998).”

Reazione Suolo – Piede

Immaginiamo un corpo fermo sul pavimento; su di esso agiscono due forze: una è la forza peso, dovuta all’accelerazione di gravità e rivolta verso il basso, l’altra è la reazione vincolare esercitata dal pavimento, rivolta verso l’alto.

forza-peso-e-reazione-vincolare
La forza peso e la reazione del suolo sono uguali e contrarie, quindi si bilanciano: il corpo è in equilibrio.
Le due forze, anche in questo caso, sono uguali e contrarie e la risultante di esse che agisce sul corpo è nulla, per questo, il corpo è fermo e continua a rimanere fermo.
Il terzo principio della dinamica, definito anche principio di azione e reazione, afferma che quando un corpo A esercita una forza su un corpo B, anche il corpo B esercita una forza su A, e le due forze sono uguali in modulo, hanno stessa direzione, ma verso opposto.

foto2
Questo principio è valido ogni volta che due corpi interagiscono tra loro; ciò vale sia che essi siano in contatto, sia che essi siano a distanza, in movimento o fermi. Notiamo che le forze di azione e reazione, cioè le forze che i corpi esercitano l’uno sull’altro, pur essendo uguali e opposte non si annullano a vicenda, in quanto sono applicate su oggetti diversi. Molto spesso, specialmente quando i corpi in questione hanno masse o grandezze molto differenti, riusciamo a percepire solo una delle forze che agiscono; l’altra è talmente piccola che può essere considerata trascurabile. Ciò avviene, ad esempio, nel caso in cui abbiamo un oggetto in caduta libera, che viene attratto dalla Terra a causa della forza di attrazione gravitazionale. Anche il corpo esercita una forza attrattiva nei confronti della Terra, che è uguale e contraria a quella che la Terra esercita su di esso.

2-principi-dinamica-37-638
La Terra e il corpo esercitano l’uno sull’altra una forza attrattiva. Tuttavia, mentre il corpo viene accelerato verso la Terra, quest’ultima, che ha una massa enorme rispetto al corpo, offre una grandissima resistenza ad essere accelerata.
Un altro tipico esempio in cui è osservabile il terzo principio della dinamica è la racchetta da tennis: osservando al rallentatore il movimento della pallina che si scontra con la racchetta, si è in grado di notare che quest’ultima si deforma. La deformazione è la risultante della forza che la pallina imprime sulle corde; la forza di reazione invece, è visibile sulla pallina, che all’impatto con la racchetta, risulta a sua volta deformata.
Una situazione analoga riguarda il caso della locomozione: quando camminiamo, infatti, esercitiamo una forza sul terreno, spingendolo indietro. Allo stesso modo, il terreno esercita una forza sul nostro piede, uguale e contraria alla nostra spinta. Il suolo, quindi, ci spinge in avanti, e ci permette così di camminare.

Sistemi di “difesa” dell’organismo

I recettori di Golgi: sono recettori di forza, ed essendo posti in serie rispetto al muscolo rispondono alle variazioni di forza che si sviluppano ai capi tendinei. La forza può aumentare indipendentemente dalle variazioni di lunghezza del muscolo.

foto3L’afferenza dai recettori di Golgi attiva con sinapsi eccitatoria un interneurone, a sua volta inibitorio sul motoneurone alfa spinale. Pertanto, l’attivazione dei recettori di Golgi risulta inibitoria sul motoneurone alfa spinale.
Il riflesso a partenza dai Golgi è quindi opposto a quello a partenza dai fusi. Bisogna aggiungere che la soglia si stimolazione del Golgi è molto più elevata della soglia di stimolazione dei fusi.
Quindi, fintanto che non vengono stimolati i recettori del Golgi, prevale il riflesso eccitatorio a partenza dai fusi.
Un buon esempio in cui il riflesso a partenza dai Golgi prevale su quello a partenza dai fusi, è quello relativo all’atterraggio di un ginnasta quando lascia la presa degli anelli. Come tutti hanno potuto osservare, il ginnasta molto spesso nel contatto con il terreno sembra perdere l’equilibrio ed è netta la sensazione che una gamba gli ceda.
La spiegazione del fenomeno è la seguente: nell’atterraggio le ginocchia si flettono, questo causa allungamento dei muscoli quadricipiti, stimolazione dei fusi e contrazione di natura riflessa. Ma, a causa dell’elevata energia cinetica nella fase di atterraggio, la tensione ai capi tendinei può aumentare al punto da stimolare i recettori di Golgi: ne risulta un’inibizione dei quadricipiti che rende ragione del cedimento delle gambe dell’atleta. Il riflesso a partenza dai recettori di Golgi va considerato un riflesso di protezione, infatti un eccessivo aumento della tensione tendinea può portare allo strappo (del muscolo o dell’inserzione del tendine sull’osso).

I fusi neuromuscolari: sono delle strutture fusiformi situate parallelamente alle fibre muscolari: essi presentano una parte centrale costituita dai nuclei e una parte polare in grado di contrarsi.

foto4
L’innervazione fusale è sia di tipo sensitivo che motorio; durante lo stiramento del muscolo i fusi neuromuscolari si stirano, seguendo il movimento delle fibre muscolari, si eccitano e attraverso la loro innervazione sensitiva inviano il segnale al midollo, che determina una contrazione (riflesso miotatico).
L’innervazione sensitiva origina dalla parte centrale del fuso, dove è disposta a spirale, in modo da poter essere sensibile allo stiramento. L’innervazione motoria del fuso neuromuscolare, invece, interessa i poli, che sono la parte contrattile. Queste fibre partono da particolari neuroni delle corna anteriori del midollo spinale detti gamma-motoneuroni, a differenza dei motoneuroni deputati alla contrazione delle fibre muscolari che vengono detti alfa. L’innervazione motoria dei fusi neuro muscolari è di fondamentale importanza per l’evolversi del movimento volontario: senza di essa non si avrebbe la possibilità di estendere l’avambraccio sul braccio senza che questo torni indietro; rispetto al quadricipite femorale, non si avrebbe una contrazione se il ginocchio non cedesse gravemente.

Effetto della vibrazione prodotta dall’impatto con il suolo

Quotidianamente, probabilmente nella maggior parte dei casi senza nemmeno rendercene conto, il nostro corpo è sottoposto a vibrazioni di differente tipo, basti pensare a quando viaggiamo in autobus, in treno, oppure in automobile, solamente per citare i casi più ordinari. Molte altre categorie di persone invece, sottopongono il loro corpo a vibrazioni di ben altro genere, come quelle causate da macchinari quali i veicoli pesanti, i martelli pneumatici, oppure molti altri utensili manuali.
Esattamente come per il caso del nostro apparato acustico, che può captare suoni piacevoli oppure estremamente sgradevoli, il nostro corpo può essere sottoposto a vibrazioni del tutto gradevoli, come ad esempio il leggero beccheggio od il piacevole rollio di una barca, oppure decisamente spiacevoli, come nel caso in cui si percorresse una strada dissestata con un mezzo scarsamente ammortizzato. Da un punto di vista meccanico, possiamo affermare che un corpo vibra quando quest’ultimo descrive un movimento di tipo oscillatorio o sussultorio intorno ad una posizione di riferimento.
Recentemente molti studi testimoniano di come le vibrazioni inducano delle risposte adattative da parte dell’apparato neuromuscolare umano sia di tipo metabolico che meccanico. Da tempo è nota la correlazione esistente tra la specificità della disciplina sportiva praticata ed il profilo ormonale dell’atleta: atleti praticanti discipline di tipo esplosivo-balistico, come ad esempio gli sprinter, possiedono un alta concentrazione basale di testosterone (T) (Kraemer e coll., 1995; Bosco e coll, 1996). L’esercizio infatti è in grado d’indurre una significativa risposta ormonale, non solo in termini d’adattamento acuto all’esercizio stesso, ma anche sotto forma di riposta a lungo termine nei confronti di quest’ultimo (Inoue e coll., 1994; Viru, 1994; Kraemer e coll., 1996).
Anche l’AV (Allenamento Vibratorio) è in grado d’indurre simili risposte ormonali di tipo adattivo; specificatamente una seduta di AV provoca un aumento della concentrazione di Testosterone (T) ed Ormone Somatotropo (GH) contestualmente ad una diminuzione della concentrazione di Cortisolo (C) (Bosco e coll, 2000). L’aumento di T e GH è riconducibile all’azione dei metaborecettori muscolari (Kjaer, 1992), mentre la diminuzione del C è probabilmente da imputarsi ad un’insufficiente effetto stimolatorio del comando motorio centrale e del feedback nervoso a livello della muscolatura scheletrica (Knigge e Hays, 1963; Bosco e coll., 2000). Sembrerebbe quindi che l’AV, se opportunamente reiterato, possa indurre degli adattamenti ormonali stabili che testimonierebbero di un altrettanto stabile adattamento, in termini migliorativi, della funzione neuromuscolare (Bosco e coll., 2000).
Un altro effetto provocato dalle vibrazioni meccaniche, applicate al ventre muscolare e/o alla struttura tendinea (10-200 Hz), oppure all’intero corpo (1-30 Hz), è l’attivazione dei recettori dei fusi neuromuscolari (muscle spindle receptors), sia a livello del complesso muscolo-tendineo direttamente sollecitato, che dei gruppi muscolari adiacenti (Hagbarth e Eklund, 1985; Seidel, 1988).
Questo tipo di risposta da parte del muscolo alla sollecitazione vibratoria viene definito con il termine di “riflesso tonico da vibrazione” (RTV) (Hagbarth e Eklund, 1966). È scientificamente ampiamente documentato il fatto che il RTV induca un aumento della forza contrattile dei gruppi muscolari coinvolti (Hagbarth e Eklund, 1966; Johnston e coll, 1970; Arcangel e coll., 1971; Armstrong e coll., 1987; Matyas e coll., 1986; Samuelson e coll., 1989; Bosco e coll., 2000). Questo aumento della capacità contrattile del gruppo muscolare sottoposto a vibrazioni, si traduce in un evidente spostamento verso destra sia della relazione forza-velocità, che di quella forza-potenza, che vengono in tal modo fortemente influenzate positivamente (Bosco e coll., 1999).
Questi cambiamenti nella risposta neuromuscolare sono da attribuirsi principalmente all’aumento dell’attività dei centri motori superiori (Milner-Brown e coll., 1975) ed al sostanziale miglioramento dei comandi nervosi che regolano la risposta neuromuscolare (Bosco e coll., 1998). In effetti, il complesso muscolo tendineo sottoposto a vibrazione sopporta dei modesti, ma comunque significativi, cambiamenti della propria lunghezza, di tipo ritmico (Kerschan-Shindl e coll., 2001), che fanno si che l’AV sia sostanzialmente assimilabile ad un cadenzato susseguirsi di contrazioni concentriche ed eccentriche di piccola ampiezza (Rittweger e coll., 2001).
Questo particolare comportamento meccanico potrebbe indurre una facilitazione nell’eccitabilità del riflesso spinale (Burke e coll, 1996). A questo proposito, alcuni Autori (Burke e coll., 1976) avanzano l’ipotesi che il RTV operi in modo predominante, se non esclusivo, attraverso gli alfa motoneuroni e non utilizzi gli stessi patterns corticali efferenti di cui si avvale il movimento volontario.
Tuttavia, è anche possibile ipotizzare che il RTV, indotto dalle vibrazioni stesse, induca un aumento del reclutamento delle unità motorie tramite un attivazione dei fusi neuromuscolare ed i pattern di attivazione poli sinaptici (De Gail e coll., 1966). Contestualmente e coerentemente a questo particolare adattamento neuromuscolare, l’AV provoca una diminuzione del rapporto intercorrente tra segnale mioelettrico di superficie e produzione di potenza, ossia della ratio EMG/P. Un decremento della ratio EMG/P indica verosimilmente un miglioramento nell’efficienza neuromuscolare (Bosco e coll., 2000).
Un ultimo, ma non meno importante parametro fisiologico sul quale le vibrazioni possono influire è costituto dalla circolazione sanguigna, l’AV può infatti determinare una riduzione della viscosità del sangue ed un aumento della velocità media del flusso circolatorio (Kerschan e coll., 2001).

Quali rimedi?

Abbiamo visto come, soprattutto nel principiante, il suolo senza la minima proprietà elastica (come l’asfalto) possa sottoporre l’organismo a vibrazioni non salutari che nel tempo possono tramutarsi in fastidi articolari o muscolari. A questo vanno aggiunte la scarsa tecnica ma soprattutto, una scarsa conoscenza della metodologia dell’allenamento.
Prediligere suoli minimamente morbidi a volte fa la differenza (terra battuta, campo di atletica, piste ciclo-pedonali realizzate in legno o simili), iniziare gradualmente, ad esempio con degli intervalli, utilizzando un cardio-frequenzimetro e sotto il consiglio di persone esperte conoscitrici dell’allenamento, dosare lo stimolo allenante, rispettare adeguati tempi di recupero e, non ultimo, consultare un buon trainer, consentirà di acquisire una buona tecnica che nella corsa è importante come per qualsiasi altro sport.

Bibliografia

  1. RUSSO L, DE ROCCO G, DEL MASTRO A: Esempi di video analisi della corsa – in Russo L.: Biomeccanica. Principi di biomeccanica e applicazioni della video analisi al movimento umano. Capitolo 5 – ATS Giacomo Catalani Editore, Arezzo; 2019
  2. ALEXANDER RM: Running. The human machine – Natural history – Museum Publications, London 1992 pag, 74-87
  3. NOVACHEK TF: The biomechanics of running – Gait and posture, 1998; 7(1): 77-95
  4. ROBERTS TJ, MARSH RL, WEYAND PG, TAYLOT CR: Muscolar force in running turkeys. The economy of minimizing work – Science, 1997; 275 (5303): 1113-5
  5. UNIVERSITÀ DI CHIETI: Dispense del Master in Scienze Podologiche – 2009
  6. CAPRARA D.: Dispense di Biomeccanica – I.R.M.O. Istituto Romano di Medicina Osteopatica
  7. KIBLER WB, GOLDBERG C, CHANDLER TJ: Functional biomechanical deficits un running athletes with plantar fasciitis – Am J Sports Med 19: 66-71, 1991
  8. NEELY FG: Biomechanical risk factors for exercise-related lower limb injuries – Sports Med. 26 (6): 395-413; dec 1998
  9. KAUFMAN KR et al.: The effect of foot structure and range of motion on musculoskeletal overuse injuries – Am J Sports Med. Vol. 27, n° 5; 1999
  10. GOTTSCHALL JS, KRAM R: Ground reaction forces during downhill and uphill running – J Biomech. 2005 Mar; 38(3): 445-52.

Dino Caprara
Laurea in Scienze Motorie
Osteopata D.O.
Docente di Biomeccanica
Specializzazione in Chinesiologia
Master in Scienze Podologiche
Diploma di Specializzazione in Manipolazioni Vertebrali

Luca Russo
Laurea in Scienze Motorie
Laurea in Tecniche Ortopediche
Laurea in Podologia
Perfezionamento in Chinesiologia
Master in Posturologia
Dottorato di Ricerca in Discipline delle Attività Motorie e Sportive

infortunio-piede-696x392

L'articolo REAZIONE VINCOLARE SUOLO – PIEDE E INFORTUNI NEL PODISTA sembra essere il primo su Sport e Medicina.

ATTIVITÀ FISICA E SPORT: L’ALLENAMENTO COMINCIA A TAVOLA

$
0
0

attivitafisicaesport

SIAMO FATTI PER MUOVERCI

Ad eccezione di chi soffre di particolari malattie, tutti quanti possono e dovrebbero fare attività fisica: donne, uomini, bambini, ragazzi e anziani. Ogni persona deve commisurare la propria attività fisica o sportiva al suo stato generale di salute e, nel caso di principianti, procedere con gradualità. È fondamentale, soprattutto all’inizio di una nuova attività o sport, essere seguiti sia dal medico, che deve darci
la sua approvazione prima di cominciare l’allenamento, sia dal coach o dal personal trainer, che deve invece organizzare un programma di esercizi fisici compatibile con il nostro stato fisico. …

… continua

download

ATTIVITÀ FISICA E SPORT – L’Allenamento comincia a tavola

L'articolo ATTIVITÀ FISICA E SPORT: L’ALLENAMENTO COMINCIA A TAVOLA sembra essere il primo su Sport e Medicina.

L’ARRAMPICATA SPORTIVA (o “FREE CLIMBING”)

$
0
0

Informazioni e notizie tratte da:
Allenamento (SportArrampicata – periodico della F.A.S.I.)
di Roberto Bagnoli

fasilogo

Federazione Arrampicata Sportiva Italiana

alpinismo-01-800x500_c

PRINCIPI E METODOLOGIE D’INDAGINE DEL FENOMENO SPORTIVO
“Arrampicata Sportiva”

Approccio multidisciplinare e analisi dell’arrampicata sportiva

Ogni fenomeno motorio – sportivo, per essere compreso necessita di informazioni che attingono da varie scienze umane, quali la biomeccanica, la neurofisiologia, la biologia, la psicologia dello sport e molte altre ancora.
Il fenomeno sportivo, che si manifesta nella sua interezza al momento della prestazione, viene in questo modo scomposto in parti elementari, cosicché ciascun ambito d’indagine (biomeccanico, medico, psicologico ecc. …) possa essere studiato e approfondito separatamente.
Il risultato sportivo (o performance) è la vera sintesi di tutti questi elementi (elementi tecnici, tattici, mentali e bioenergetici) ed è espressione della capacità del singolo atleta di saperli integrare tra loro.
Questo approccio “diagnostico” è di vitale importanza, infatti la conoscenza dell’evento sportivo è, tra le altre cose, anche il punto di partenza che consente di accedere alle metodologie di allenamento, cioè ai mezzi attraverso i quali è possibile il miglioramento delle capacità di prestazione e la prevenzione dei traumi, spesso causati proprio da un cattivo utilizzo dei mezzi di allenamento stessi.
27 Queste due condizioni di arrampicata differiscono sia per le caratteristiche intrinseche degli itinerari (sviluppo in metri e conseguente tempo medio di percorrenza, tipologia delle pareti, forma delle prese) che per la peculiarità dei movimenti richiesti. Quindi una cosa è arrampicarsi su pareti naturali, altra cosa prepararsi per una gara su strutture artificiali e viceversa.
Conoscere entro quali limiti temporali si sviluppa l’azione motoria è un altro aspetto da non sottovalutare; infatti nonostante l’arrampicata non sia uno sport “a tempo”, esistono comunque dei tempi medi di percorrenza degli itinerari, che, nelle comuni competizioni, si aggirano tra i 3′ 30″ e i 5′ 30″.
L’azione dell’arrampicata non è continua, ma si ripetono in successione fasi statiche e fasi dinamiche; tra le prime rientrano i “moschettonaggi” (periodi in cui vengono messi in sicura i ganci dell’atleta durante la salita) che, pur non occupando una fetta importante del tempo di salita, rappresentano però un momento di dispendio energetico notevole per chi pratica l’arrampicata sportiva. L’arrampicatore si muove lentamente sulla parete (rapporto distanza/tempo) ed in maniera non uniforme; momenti ad elevata intensità e fasi di recupero attivo delle energie si alternano continuamente: quindi contrazioni di tipo isotonico/isometrico alternato sono la caratteristica principale di questo sport. Ciascuna contrazione della muscolatura deputata alla prensione (muscoli dell’avambraccio e della mano) ha una durata media che va dai 6 ai 12 secondi (tempi rilevati su terreno artificiale).


I tempi di rilasciamento sono però troppo brevi affinché si possa produrre un recupero completo delle energie; ciò comporta un affaticamento progressivo per lo più imputabile alle aumentate concentrazioni di acido lattico intramuscolare. Il tutto è riassunto nella tabella successiva:

Tabella 1 – AZIONE MOTORIA DELL’ARRAMPICATA SPORTIVA

L’ARRAMPICATA SPORTIVA
La muscolatura della “prensione” è attivata e disattivata in maniera intermittente: la fase di rilasciamento post-isometrica è insufficiente a determinare un recupero completo; la capacità contrattile diminuisce progressivamente.
Lo scalatore compie sforzi non omogenei: essi sono dovuti all’alternanza di fasi ad elevata intensità a fasi di minore intensità (recupero attivo delle energie).
Lo scalatore si muove lentamente: ciò è confermato dal rapporto
distanza percorsa in metri/tempo totale di percorrenza dell’itinerario

Identificato l’ambiente nel quale l’atleta ricerca la prestazione, quali caratteristiche lo contraddistinguono, quali sono i parametri spazio-temporali propri dell’azione dell’arrampicata e come l’arrampicatore si muove sulla parete, si considerano gli obiettivi perseguibili dall’atleta.
Nella strutturazione dell’allenamento sportivo l’obiettivo principale è ottenere dei risultati sempre migliori; per ottenere un incremento della prestazione è necessario conoscere quali elementi la determinano e indurre quegli stimoli necessari affinché si abbia un innalzamento del potenziale prestativo dell’atleta.
I fattori della prestazione sono l’insieme delle componenti capaci di influenzare il risultato sportivo. Queste componenti condizionano la dinamica comportamentale dell’atleta e garantiscono o pregiudicano la riuscita del compito.

2341566436_b4d03244ea_b

arramp4

climber

Muri “naturali”

Tabella 2 – FATTORI CONDIZIONANTI LA PRESTAZIONE

  • Caratteristiche genetiche
  • Componenti morfotipiche (antropometriche)
  • Componenti bio-energetiche (substrati energetici, capacità organico-muscolari)
  • Componenti coordinative (coordinazione nell’esecuzione dei movimenti; economia)
  • Componenti psicologiche (volontà , motivazione, decisione, intelligenza)
  • Componenti tecnico-tattiche (bagaglio tecnico, disponibilità variabile)
  • Fattori esterni (clima, ora del giorno, caratteristiche della via)

Nella prestazione sportiva (gara), come nello sviluppo dei pre-requisiti della prestazione (allenamento) ognuna delle componenti citate in tabella occupa una parte importante. Avere alti livelli di ognuna predispone al raggiungimento di traguardi di rilievo.
Molte di queste componenti sono notoriamente modificabili e migliorabili e ciò corrisponde all’obiettivo che si propone l’atleta in allenamento.

TNX-10574-climbing_1

free-climbing-in-arizona-with-sierra-blaire-coyle-the-moment-1445526739

Muri “naturali”

Caratteristiche organiche richieste nell’arrampicata

La prestazione nell’arrampicata dipende dall’individualizzazione dei due obiettivi fondamentali per quanto riguarda lo sviluppo dei fattori organico – muscolari: Forza Massima e Resistenza. Se i termini Forza e Resistenza rimandano a reali prestazioni fisiologiche (misurabili), la cosiddetta “continuità” è un termine che non ha nessun riscontro fisiologico, ed è quindi un aspetto che oltre a confondere le idee è privo di qualsiasi fondamento scientifico. In arrampicata esiste la Capacità di Forza, cioè la capacità di erogare continuamente un sufficiente quantitativo di forza utile che permette di non cadere. In pratica, al di là dei possibili errori tecnico-tattici, si cade sempre per mancanza di forza. La capacità di forza è limitata infatti, oltre che da fattori strettamente neuro-muscolari (capacità di contrarre la muscolatura) anche dalle capacità metabolico – energetiche (su tutte la capacità di tamponare l’Acido Lattico = capacità di recupero attivo). Quindi nell’arrampicata le caratteristiche meccanico-muscolari fondamentali richieste sono di due tipi: Forza e Resistenza.

  • La Forza Massima

Già nel 1988 il Prof. G. Cometti (francese) cita nel suo libro l’importanza dell’incremento della forza in arrampicata, che sembra essere essenziale per «procrastinare» l’affaticamento muscolare.
Si distinguono la Forza Massima Concentrica da quella Massima Isometrica. Nella prima si sviluppa il gesto della trazione, nell’altra la capacità di tenere le prese ed il bloccaggio. Questi sono i gesti propri dell’arrampicata e in queste modalità si deve sviluppare forza.
Nell’arrampicata la capacità massima di forza è quella estrinsecabile da un certo distretto muscolare (nel nostro caso, muscoli dell’avambraccio e della mano). Essa serve: 1) a mantenere prese sempre più difficili; 2) a mantenere le stesse prese con minore dispendio energetico. Maggiore è infatti la capacità di forza, minore è l’intervento delle fibre muscolari rapide (fibre ad elevata capacità di affaticamento) e quindi maggiore è il risparmio energetico (turnover delle unità motorie). Inoltre: “più la forza massimale ottenuta con l’allenamento è elevata, più sarà facile mantenere un alto livello di forza per tutta la durata della prova”.
La capacità di forza non deve essere mai scissa dall’azione motoria per la quale è richiesta e quindi dalla coordinazione motoria. Forza, coordinazione ed interpretazione del movimento concorrono alla riuscita del compito ed all’innalzamento del livello atletico.

  • Metodi di allenamento

Per allenare la forza si possono adottare delle trazioni in discesa (negative, con carico massimale o sovramassimale), movimenti in discesa sul “Campus Board” o sul “Muro – Boulder” rientrano nella categoria degli sforzi eccentrici, in cui il muscolo viene impegnato in un’azione di freno (si contrae e contemporaneamente si allunga (allontana i capi articolari = braccio che si apre). Questi sforzi perturbano l’organismo in maniera severa e sono propri dell’arrampicatore esperto ed avvezzo a tollerare carichi elevati. Lo sviluppo della forza in regime eccentrico consente un incremento del potenziale di forza notevole, sebbene occorrano tempi molto lunghi per consentire all’organismo di recuperare e “supercompensare” anche dopo una sola seduta di questo tipo. È per questa ragione che gli esercizi eccentrici non si sposano con la preparazione immediata alla gara.
Gli esercizi pliometrici hanno per obiettivo l’incremento della Forza Esplosiva, che per definizione rimanda ad un grande spostamento in un lasso di tempo molto piccolo. È verosimile quindi che questo termine corrisponda alla Potenza. Dinamicità, reattività, potenza, sono dunque gli obiettivi che vengono perseguiti nelle sedute a carattere pliometrico. Il metodo pliometrico è tale quando tra la fase di freno (eccentrico – isometrica) e quella di spinta verso l’alto (concentrica) trascorre un lasso di tempo brevissimo. Anche compiendo della pliometria alle sbarre è assai probabile che tra la discesa e la salita trascorra un tempo troppo lungo per consentire il cosiddetto “riuso di energia elastica”.
L’allenamento alla forza dovrà essere mirato a precisi distretti corporei: braccia, mani. Gli sforzi «di dita» limitano lo sviluppo della forza dei grandi muscoli di braccia e dorso. Alternare sforzi di dita a sforzi «di braccia» (passaggi duri su prese buone) è un buon sistema per incrementare la forza di questi ultimi. Suddividere la seduta in due sessioni, ove la prima metà è diretta al lavoro sulle dita e la successiva al lavoro sulle braccia, può rivelarsi utile. A più alti livelli, concatenare due sedute consecutive di forza alternando nella prima un lavoro concentrato sulle dita e nella seconda un lavoro sulle braccia permette alle prime di non sovraffaticarsi ed alle seconde di svilupparsi in maniera “completa”.
Comunque come in tutti gli sport la ripetizione del gesto tecnico deve essere allenata parallelamente alla forza. Quindi, il lavoro specifico (sia esso in parete per chi arrampica, che sui blocchi per chi pratica bouldering) riveste un ruolo importante per l’atleta che vuole perseguire lo scopo dell’incremento della prestazione). Il lavoro cosiddetto «a secco» (trave, muro, campus board) deve necessariamente essere convertito in miglioramento della prestazione.

  • La resistenza

Il concetto di resistenza in arrampicata, è correlato alla capacità di erogare un sufficiente quantitativo di forza nel tempo e quindi alla capacità di vincere l’affaticamento. L’incapacità di sviluppare una forza adeguata dipende principalmente dalle aumentate concentrazioni di acido lattico nei muscoli. Nell’arrampicata il meccanismo energetico anaerobico lattacido è il più coinvolto. Poiché una buona parte dell’acido lattico prodotto viene continuamente metabolizzato (riconvertito in energia utile) è importante applicare esercizi di allenamento che potenzino questo tipo di sistema. L’arrampicatore deve inevitabilmente allenare i muscoli nell’ambito del sistema anaerobico lattacido (oltre che, ovviamente, in quello anaerobico alattacido); d’altra parte non deve dimenticare le caratteristiche biomeccaniche dell’azione motoria (sforzi discontinui, abilità a recuperare rapidamente le energie nei momenti in cui la tipologia delle prese lo consente, tempi medi di contrazione isometrica, variazione dell’inclinazione delle pareti e della forma delle prese ecc. …). Abituare la muscolatura ad impegnarsi in maniera discontinua, cioè a fasi ad intensità variabile, è senz’altro uno dei temi che deve essere perseguito nella strutturazione dell’allenamento.
L’arrampicatore, proprio perché coinvolge in sforzi elevati praticamente solo i piccoli muscoli delle dita (flessori delle dita) non necessita di possedere elevati livelli di resistenza centrale, vale a dire di elevate capacità del sistema cardio-respiratorio. Comunque una buona efficienza cardiaca sicuramente concorrerà alla salute dell’atleta; inoltre l’importanza del sistema cardiaco tende ad aumentare, oltre che con la lunghezza della via, anche con l’inclinazione della parete, proprio perché in situazioni di «forte strapiombo o tetto», diventa ancor più determinante il ruolo dei grandi muscoli di braccia (bicipite) e dorso (gran dorsale ecc. …), che per la loro massa contribuiscono ad un aumento decisivo del metabolismo e quindi della necessità di apporto di ossigeno. Infine se è vero che in generale l’allenamento di tipo statico (o isometrico), bloccaggi alla sbarra per intendersi, non incide (o incide minimamente) sullo sviluppo dei vasi dei muscoli in contrazione (capillarizzazione) è vero anche che il susseguirsi di contrazioni intermittenti dei flessori delle dita, seppur anch’essi sottoposti a lavoro isometrico, produce profonde modificazioni nell’ambito vascolare e neuro-vascolare (ma pur sempre di tipo locale, cioè limitatamente all’avambraccio).

L’allenamento delle capacità energetiche dovrà avere almeno due obiettivi

Bisogna chiedersi:
Quali sono le capacità organiche (o prerequisiti) che l’atleta deve possedere per evitare l’affaticamento muscolare?
1) Capacità di forza massima isometrica dei muscoli della prensione
2) Capacità di resistenza all’affaticamento dei muscoli della prensione

OBIETTIVI

Nel rispetto delle forme e dei tempi ottimali che richiede lo sviluppo della forza:
1- sviluppo della capacità di proseguire nello sforzo nonostante gli accumuli di Acido Lattico
2- sviluppo della capacità di recuperare rapidamente le energie durante la scalata, nelle fasi di “recupero attivo”.
Ogni tipologia di appiglio (tacca, svaso, pinza ecc. …) allena principalmente quel tipo di prensione, questo per due ragioni:
1) si sa che l’allenamento statico accresce la forza prevalentemente nell’angolo specifico di lavoro
2) in ciascun tipo di prensione intervengono non solo i flessori delle dita, ma anche tutti gli altri muscoli intrinseci ed estrinseci della mano (in particolare quelli del pollice) che contribuiscono in maniera differente a seconda della presa tenuta.
Quindi l’atleta deve allenarsi su tutti i tipi di prese per migliorare la tenuta in ogni circostanza; variare il più possibile le circostanze di lavoro durante le sedute di allenamento in ambiente artificiale.
Qualsiasi sforzo di breve durata (tale da non intaccare il metabolismo energetico anaerobico lattacido) e di intensità massima produce un incremento di forza, sia essa di tipo concentrico che isometrico.
1- TRAZIONI: da 1 a 10 trazioni massimali contribuiscono ad accrescere la forza nei muscoli, ma con delle differenze sostanziali: in generale fino a 3 ripetizioni lo sviluppo della forza è a carico dei cosiddetti fattori nervosi, che aumentano la forza senza concomitante accrescimento della massa muscolare; all’opposto salendo con le ripetizioni si incrementa la forza mediante i cosiddetti fattori strutturali, con consistente aumento della dimensione delle fibre muscolari (ipertrofia) e quindi della massa. 6 ripetizioni (come anche un sistema piramidale, ma sempre procedendo dal “vertice” verso la “base” della piramide) rappresentano un buon compromesso che coinvolge sia l’uno che l’altro aspetto. È ovviamente importante che l’arrampicatore si diriga più sugli aspetti nervosi che su quelli strutturali, per ovviare al problema dell’aumento eccessivo (e non assoluto) delle masse.
2- BLOCCAGGI e SOSPENSIONI: 3 – 6 secondi di “bloccaggio” (o sospensione) consentono di sviluppare al meglio la forza massima isometrica.
3- AL MURO-BOULDER: obiettivo è lo sforzo massimale (superiore alle nostre possibilità; in genere si provano passaggi che almeno inizialmente non riescono); pochi movimenti, da 1-2 (lavoro sullo sforzo singolo) a massimo 6. Il principio è lo stesso delle trazioni: grande intensità concentrata in 1-3 movimenti = sviluppo dei fattori nervosi (cosiddetta forza pura); più movimenti = tendenza all’incremento anche di quelli strutturali. Entrambi sono importanti; dipende dalle esigenze e dalla programmazione. Attenzione ai recuperi: l’importanza di un adeguato recupero tra le prove è pari a quella della prova stessa.

Valutazione e corretto uso dei mezzi di allenamento: Progredire con Gradualità

Classificazione dei mezzi di allenamento in Arrampicata Sportiva
I “mezzi di allenamento” sono tutti gli strumenti dei quali si avvale l’arrampicatore per incrementare il livello prestativo:
1- le pareti d’arrampicata (naturali e artificiali)

Muri “artificiali”

Muri “naturali”

2- il muro – boulder
3- la trave
4- il Pan Gullich
5- le macchine di muscolazione.
Questi stessi “attrezzi” possono essere più semplicemente classificati in 3 distinte categorie:
1- MEZZI SPECIFICI
2- MEZZI SEMI-SPECIFICI
3- MEZZI GENERALI
schematicamente rappresentate nella Tabella 3.

Tabella 3 – MEZZI DI ALLENAMENTO

1) Mezzi Specifici: le pareti d’arrampicata (come i massi o i muri boulder per chi pratica questa specialità) non sono solo il “terreno” sul quale è possibile valutare il proprio livello, ma anche mezzi di allenamento estremamente specifici e performanti; come vedremo infatti è solo praticando il “gesto” specifico che vengono allenate tutte le componenti della prestazione, che invece vengono trascurate mano a mano che l’attrezzo di allenamento si allontana dallo specifico al generale.
2) Mezzi Semi-specifici: con il termine “semi-specifico” s’intende un mezzo che si avvicina alle condizioni tipiche dell’azione “in parete”, ma sul quale è possibile solo simularle oppure stimolare i muscoli propri dell’arrampicata, ma in maniera lontana dalle caratteristiche reali. I mezzi semi-specifici possono essere distinti in:
a) Globali = in cui l’intero corpo viene messo in azione (caso dei muri-boulder)
b) Analitici = in cui vengono stimolati in maniera selettiva solo i muscoli della parte superiore del corpo (vedi trave o pan Gullich)
3) Mezzi generali: i mezzi generali di allenamento sono rappresentati dalle classiche macchine di muscolazione o dai manubri, pesi ecc. … Rientrano in questa categoria anche gli esercizi di allungamento muscolare (stretching).

Tabella 4 – VALUTAZIONE DEI MEZZI DI ALLENAMENTO

PARETE (indoor e outdoor)
-SISTEMI ENERGETICI
Resistenza ad un lavoro aciclico estremamente vario, di situazione
-REGIMI DI LAVORO
Concentrico e isometrico con modalità temporali estremamente specifiche
-TECNICA E TATTICA
Massimo sviluppo dei pre requisiti tecnico-tattici in situazioni variabili
-EMOTIVITÀ
I fattori emotivi sono stimolati al massimo, specie se sotto pressione

MURO BOULDER
-SISTEMI ENERGETICI
Possibilità di lavorare su tutti i sistemi energetici e potenziarli al massimo
-REGIMI DI LAVORO
Possibilità di sviluppare forza massima specifica in tutti i regimi di lavoro
-TECNICA E TATTICA
Buono strumento per apprendere la tecnica, di scarsa utilità per le acquisizioni tattiche
-EMOTIVITÀ
Assente sviluppo delle capacità emotive (mentali ecc.)

TRAVE
-SISTEMI ENERGETICI
Possibilità di potenziare i sistemi energetici e in special modo la forza
-REGIMI DI LAVORO
Sviluppo della forza nei regimi concentrico, isometrico ed eccentrico
-TECNICA E TATTICA
Assente
-EMOTIVITÀ
Assente

CAMPUS BOARD
-SISTEMI ENERGETICI
Sviluppo esclusivo della forza di trazione
-REGIMI DI LAVORO
Sviluppo dei regimi “concentrico puro” ed eventualmente “pliometrico”
-TECNICA E TATTICA
Assente
-EMOTIVITÀ
Assente

Ciascuno dei mezzi citati presenta pregi e difetti.
Da ciò si comprende che: non esiste miglior mezzo di allenamento che non sia l’arrampicata stessa, perché è solo in questo contesto che possono essere sviluppate ottimamente tutte le componenti della prestazione, dagli aspetti psicologici a quelli tecnico-tattici oltre che ovviamente a quelli condizionali (organico-muscolari), che tra l’altro vengono allenati nelle modalità tipiche della disciplina.

La progressività nella scelta dei mezzi di allenamento

Possiamo distinguere almeno 3 categorie di arrampicatori:

  • PRINCIPIANTE (o di basso livello)
  • INTERMEDIO
  • EVOLUTO

È importante che la scelta delle esercitazioni e dei mezzi di allenamento venga fatta in maniera adeguata al livello dell’atleta. Solo in questo modo è possibile progredire in modo progressivo ed allo stesso tempo duraturo. In base alla classificazione dei mezzi fatta in precedenza, ogni categoria deve scegliere quelli più idonei allo sviluppo del suo livello. Un principiante dovrà concentrarsi quasi esclusivamente sul vertice della piramide, perché sicuramente dovrà migliorare ancora sotto gli aspetti tecnico – gestuali, senso – percettivi, propriocettivi e nella valutazione e lettura della roccia.
Per un livello intermedio, l’arrampicata resta essenziale, anche se il gesto tecnico dovrebbe essere quasi consolidato; i mezzi semispecifici globali devono comunque essere al centro degli allenamenti settimanali.
L’atleta evoluto userà mezzi di allenamento semi-specifici analitici, al limite combinati “nella seduta” o “nella serie” con il muro-boulder.
È infatti solo a più alti livelli che si hanno i massimi benefici dagli esercizi eseguiti sui mezzi di allenamento lontani dal gesto reale. Per quanto riguarda gli esercizi generali di allenamento, questi svolgono funzioni importanti a seconda degli obiettivi che si possono riassumere come segue:

  • esercizi di potenziamento dei muscoli propri dell’arrampicata: azione di irrobustimento generale
  • esercizi di potenziamento degli antagonisti: azione di irrobustimento dei muscoli meno utilizzati nel gesto dell’arrampicata (per esempio arti inferiori, extrarotatori della spalla ecc..) e “compensativi” ( riequilibrio posturale)
  • tonificazione dei muscoli addominali
  • esercizi di stretching: sia per migliorare la mobilità dell’articolazione dell’anca che per compensare e detendere la muscolatura coinvolta negli esercizi di arrampicata (flessori/estensori della dita, muscoli della braccia e del dorso ecc..) abituata a lavorare sempre in contrazione.

Tabella 5 – MEZZI DI ALLENAMENTO: IMPORTANZA E UTILIZZAZIONE IN FUNZIONE DEL LIVELLO DI PRESTAZIONE

freeclimbingcategorie

Conclusioni

L’arrampicata sportiva è uno sport di destrezza in cui le caratteristiche fisiologiche che condizionano e limitano la performance sono la Forza Massima e la Forza Esplosiva. Tali caratteristiche devono essere allenate in maniera graduale e progressiva.

sole_nascente_01

freeclimbing_4

Muri “naturali”

Per Saperne di più:

  1. ALLENAMENTO di Roberto Bagnoli (SportArrampicata – periodico della F.A.S.I. – n° 28, 2002)
  2. ALLENAMENTO: PRINCIPI E METODOLOGIE D’INDAGINE DEL FENOMENO SPORTIVO di Roberto Bagnoli (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana)
  3. ALLENAMENTO: IL CONTRIBUTO DELLA RICERCA SCIENTIFICA E LE BASI DELLA PREPARAZIONE IN ARRAMPICATA di Roberto Bagnoli (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana)
  4. ALLENAMENTO: VALUTAZIONE E CORRETTO UTILIZZO DEI MEZZI DI ALLENAMENTO: PROGREDIRE CON GRADUALITÀ (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana)

**

L'articolo L’ARRAMPICATA SPORTIVA (o “FREE CLIMBING”) sembra essere il primo su Sport e Medicina.


QUALE E’ IL SEGRETO DELL’ALLENAMENTO SPORTIVO?

$
0
0

di Giulio Rattazzi

generated_shutterstock_103860602_copia.jpg.1100x520_q85_crop

A Pasquale Bellotti, allora mio docente universitario, feci una domanda, forse ingenua o forse banale, ma nello stesso tempo maliziosa, con lo scopo di carpire chissà quali segreti, tra quelli che certamente si celavano (così io pensavo) nelle menti dei grandi esperti del movimento umano:
“Professore, mi scusi, ma qual è il segreto dell’allenamento sportivo?”
Il professore, dopo una breve riflessione, mi rispose semplicemente così:
“Il buon senso, è il buon senso il segreto.”
Questa risposta mi lasciò attonito, perplesso. Nel mio immaginario mi sarei aspettato una ben più complessa ed articolata soluzione del mondo esoterico dei guru dell’allenamento sportivo.
Tra noi calò un certo silenzio. In quel momento, da povero presuntuoso, pensai pure:
“Ma che razza di risposta è mai questa?!?”

Passarono i giorni, passarono le settimane e si avvicinava il Natale e il professore, con mia grande meraviglia, mi regalò un libriccino, accompagnandolo con queste parole:
“Qui dentro è custodito tutto quello che devi conoscere sull’allenamento sportivo, insieme alle nozioni di qualche buon libro di fisiologia (in realtà pochissimi sono buoni).”
Scartai il regalo e, con mia sorpresa e nello stesso tempo stupore, lessi il titolo del libro:
I sette saperi necessari all’educazione del futuro, di Edgar Morin.

1_

Dentro di me pensai: mah, I sette saperi necessari … Ma necessari a cosa ? A cosa? All’educazione ?!?!?
Cosa c’entra tutto questo, cioè l’educazione, con l’allenamento sportivo?!?!
Non sapevo e non immaginavo che, di lì a poco, la lettura di quel libro avrebbe cambiato non solo la mia visione dell’allenamento sportivo (fatto di test, tabelle, tecnologia, carichi ecc.), ma la visione della vita stessa.
Edgar Morin, sociologo francese, completa il discorso nel libro La testa ben fatta, nel quale introduce un concetto, secondo me fondamentale, anzi direi radicale ed essenziale, che ben si lega al buon senso a cui si riferiva Bellotti: la serendipità.

Serendipità

Morin scrive:
Lo sviluppo dell’intelligenza generale richiede di legare il suo esercizio al dubbio, lievito di ogni attività critica, che, come indica Juan de Mairena, permette di “ripensare il pensato”, ma comporta anche “il dubbio del suo stesso dubbio”. Deve fare appello all’ars cogitandi (la quale include il buon uso della logica, della deduzione, dell’induzione), l’arte dell’argomentazione e della discussione. Comporta anche quell’intelligenza che i Greci chiamavano métis, “insieme di attitudini mentali … che combinano l’intuizione, la sagacia, la previsione, l’elasticità mentale, la capacità di cavarsela, l’attenzione vigile, il senso dell’opportunità”. Infine si dovrebbe partire da Voltaire e da Conan Doyle, poi esaminare l’arte del paleontologo o dello studioso della preistoria, per educare alla:
Serendipità, arte di trasformare dettagli apparentemente insignificanti in indizi che consentono di ricostruire tutta una storia. Poiché il buon uso dell’intelligenza generale è necessario in tutti i domini della cultura umanistica e della cultura scientifica, e naturalmente nella vita, è proprio in questi domini che si dovrà mettere in rilievo il “ben pensare” che non conduce per nulla a diventare benpensanti.

Credo che la La testa ben fatta sia uno dei più grandi libri sull’allenamento sportivo, che non parlano di allenamento sportivo.

2

Agli occhi di un esperto potrei sembrare un eretico e magari secondo lui dire una serie di sciocchezze, ma provate a leggere La testa ben fatta – Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, vi accorgerete voi stessi di quanto sia importante conoscere le pagine di questo libro per comprendere a fondo i principi dell’allenamento sportivo e della formazione giovanile.
Un libro rivolto a tutti gli insegnanti, non solo, direi anche agli allenatori, allenatori che conseguono uno scopo radicale: Educare.
Educare per una vera e propria missione, missione di passione, fede e amore.
Allenare non è una parola risposta ma una parola problema. Che si percorre nel cammino dell’incertezza e non nell’illusione della periodizzazione dell’allenamento. L’allenamento è un fenomeno complesso che non può e non deve essere assoggettato a percorsi prestabiliti, per questo:

  • Strategie e non programmi

Direbbe Antonio Machado:
Caminante no hay camino sino estelas en la mar …
Viandante non c’è una via ma scia sul mare …

3

La via si fa col cammino. Non possiamo prestabilire, non possiamo programmare, non possiamo pianificare tutto. La strada dell’allenatore con il suo atleta non è mai uguale a sé stessa, vi sono sempre continui cambiamenti, cambiamenti ai cambiamenti …
Senza mai dimenticare i principi naturali, alla base dell’allenamento sportivo, allo scopo di conseguire l’obiettivo, allenare vuol dire: creare, ricreare, adattare e adattarsi alle circostanze in continuo mutamento.

4

Per questo ci viene in aiuto la teoria dei sistemi complessi con il concetto di “Orlo del Caos” descritta nel bellissimo libro Prede o Ragni di Alberto Felice De Toni e Luca Comello: L’orlo del caos è una zona in delicato equilibrio, sempre in bilico tra i due estremi dell’ordine e del disordine.
Come canta Vasco Rossi in Sally: “La vita è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia”.

5

L’orlo del caos, lontano dall’equilibrio, è un luogo di creazione, ma può essere anche un luogo di distruzione. Rischia di precipitare da due lati.
Da una parte si ritrova un ordine troppo statico per tenere il passo della vita e dell’evoluzione. Dall’altra parte si ritrova un disordine frenetico e incontrollabile, potenzialmente distruttivo, un’instabilità di fondo che non si sa dove porta.
L’orlo del caos è là dove la vita ha abbastanza stabilità da sostenersi e creatività sufficiente da meritare il nome di vita. Solo mantenendo il passo dell’evoluzione, solo cambiando, i sistemi complessi possono rimanere se stessi. L’orlo del caos è pertanto il luogo del cambiamento, dell’innovazione, della discontinuità.
Credo che il ruolo dell’allenatore debba essere quello di cercare sempre di gestire l’equilibrio all’orlo del Caos.
Nella Testa ben fatta, che potremmo simpaticamente ribattezzare L’allenamento ben fatto, Edgar Morin
recita un passo fondamentale, secondo me uno dei principi del modus operandi dell’allenamento sportivo:
la Strategia

6

La strategia si oppone al programma, sebbene possa riportare elementi programmati. Il programma è la determinazione a priori di una sequenza di azioni in vista di un obiettivo. Il programma è efficace in condizioni esterne stabili che possiamo determinare con certezza. Ma minime perturbazioni in queste condizioni sregolano l’esecuzione del programma e lo condannano ad arrestarsi.
La strategia si stabilisce in vista di un obiettivo, come il programma: essa prefigura scenari d’azione e ne sceglie uno, in funzione di ciò che essa conosce di un ambiente incerto. La strategia cerca senza sosta di riunire le informazioni, di verificarle, e modifica la sua azione in funzione delle informazioni raccolte e dei casi incontrati strada facendo.
Tutto il nostro insegnamento tende al programma, mentre la vita ci chiede strategia e, se possibile anche serendipità e arte. E’ proprio un ribaltamento di concezione che si dovrà attuare per prepararci ai tempi dell’incertezza.”

Bibliografia

  1. Morin E.: I sette saperi necessari all’educazione del futuro – Raffaello Cortina ed., Milano, 2002, pagg. 122
  2. Morin E.: La testa ben fatta – Raffaello Cortina Editore, Milano 2000
  3. De Toni A. F. e Comello L.: Prede o ragni? Uomini e organizzazioni nella ragnatela della complessità -Torino, Utet, 2005

allenamento-aerobico

L’Autore
Mi chiamo Giulio Rattazzi.
Mi sono occupato di diverse attività relative alle Scienze Motorie tra queste:
Allenamento sportivo, preparazione atletica, istruzione, formazione giovanile, riabilitazione, ricerca universitaria, management, pubblicazioni scientifiche, divulgazione scientifica, programmazione informatica, sviluppo e invenzioni di tecnologie, consulenze scientifiche, insegnamento, disabilità, didattiche innovative, valutazione funzionale dell’atleta con invenzione di metodo statistico (Catturare l’evoluzione dei fenomeni con il ricalcolo dei punteggi “z”) e ideazione di software dedicati, ideatore e realizzatore di DeMotu.

Giulio Rattazzi, IJumpV2Free©, (SIAE) Registro pubblico speciale per i programmi per elaboratore, numero progressivo: 008344, ordinativo: D007543, 03-04-2012, ottenibile dal sito web: www.demotu.it

**

L'articolo QUALE E’ IL SEGRETO DELL’ALLENAMENTO SPORTIVO? sembra essere il primo su Sport e Medicina.

PIEDE E POSTURA: UN LEGAME INSCINDIBILE

$
0
0

Giovanni Chetta

Il piede rappresenta il punto fisso al suolo su cui grava l’intero peso del corpo. Esso si trova alla base del sistema di controllo antigravitario (sistema tonico posturale) che consente all’uomo di assumere la postura eretta e di spostarsi nello spazio. Il piede è sia un effettore sia un ricettore ossia riceve ed esegue dei comandi (risposta motoria), tramite i muscoli, e, nel contempo, interagisce col resto del corpo fornendo costanti informazioni provenienti dagli esterocettori cutanei presenti sulla sua pianta e dai propriocettori dei suoi muscoli, fascia, tendini e articolazioni. Gli esterocettori cutanei del piede sono ad alta sensibilità (0.3 g) e rappresentano l’interfaccia costante tra l’ambiente e il sistema dell’equilibrio. Le informazioni plantari infatti sono le uniche a derivare da un recettore fisso a diretto contatto col suolo.

Il piede, nel corso dell’evoluzione, per le esigenze sorte nell’assunzione della stazione eretta e della deambulazione bipodale, risulta un diaframma atto ad (FIG. 1) assorbire e smistare le forze esterne (ambientali) e interne (muscolari), relativamente agli infiniti piani dello spazio.

Fig. 1

La struttura del piede è un capolavoro unico di architettura, o meglio di biomeccanica, con le sue 26 ossa, 33 articolazioni e 20 muscoli. Funzionalmente e strutturalmente, è possibile suddividere il piede in:
retropiede formato da astragalo (talus) e calcagno, “dispositivo centrale” del controllo biomeccanico della gravità;
avampiede formato da scafoide (navicolare), cuboide, 3 cuneiformi (definiti anche mesopiede; il mesopiede più il retropiede forma il tarso), 5 raggi metatarsali (metatarso) e le falangi delle 5 dita; funge da “adattatore e reattore”.
Il piede, nel suo ruolo di “base antigravitaria”, in un primo tempo prende contatto con la superficie di appoggio adattandosi ad essa rilasciandosi, successivamente si irrigidisce, divenendo una leva per “respingere” la superficie stessa. Il piede deve quindi alternare la condizione di rilasciamento con la condizione di irrigidimento. L’alternanza di lassità-rigidità giustifica l’analogia con l’elica a passo variabile. Retropiede e avampiede si dispongono infatti in piani che si intersecano in modo variabile. Nella condizione ideale, il retropiede è disposto verticalmente e l’avampiede orizzontalmente (su una superficie di appoggio orizzontale). A piede sotto carico la torsione tra retropiede e avampiede si attenua nel rilassamento (il piede diviene una piattaforma modellabile) e si accentua nell’irrigidimento (il piede diviene una leva). La disposizione ad arco è in realtà apparente essendo espressione del grado di avvolgimento dell’elica podalica. Il piede quindi non ha il significato di un arco o volta reale ma apparente, che si alza durante l’avvolgimento e si abbassa durante lo svolgimento dell’elica. L’avvolgimento dell’elica, con la conseguente accentuazione dell’apparente disposizione ad arco, corrisponde al suo irrigidimento. Lo svolgimento dell’elica, con conseguente attenuazione dell’arco apparente, è il rilasciamento.
La torsione, l’avvolgimento, dell’elica podalica è connessa alla rotazione esterna dei segmenti sovrapodalici (gamba e femore). L’astragalo ruotando all’esterno solidalmente con le ossa della gamba, sale sul calcagno chiudendo in tal modo l’articolazione medio-tarsica; il retropiede si verticalizza. L’avampiede aderente tenacemente al suolo reagisce alle forze torcenti applicate sul retropiede; il piede è quindi irrigidito. Viceversa avviene nel rilasciamento dell’elica podalica che è associato alla rotazione interna dell’arto inferiore.

L’astragalo (talus) è un osso con cui non prende rapporto diretto nessun muscolo (non presenta inserzioni muscolari), si muove a seguito delle forze trasmesse dalle ossa adiacenti. L’astragalo è un osso del piede in quanto è solidarizzato al calcagno e allo scafoide (navicolare) nelle rotazioni sul piano sagittale (flesso-estensione) ed è osso della gamba in quanto è solidarizzato con la tibia e il perone, tramite la pinza bimalleolare, nelle rotazioni dei segmenti sovrapodalici sul piano trasverso (intra-extrarotazioni).

Tali rotazioni sul piano frontale (a livello podalico) e sul piano trasverso (a livello degli arti inferiori e del tronco) avvengono costantemente in statica (che in realtà e un caso specifico di deambulazione) e, ancor più, nella deambulazione propriamente detta.

Il ciclo della deambulazione (Fig. 2) è compreso fra i due appoggi calcaneari dello stesso piede ed è costituito da una fase oscillante, ossia non comportante sostegno del corpo, che si verifica tra il distacco delle dita dal suolo e il successivo l’appoggio del tallone dello stesso piede (corrisponde a ca. il 40% del ciclo completo), e la fase portante (occupante ca. il restante 60% del ciclo).

Fig. 2

La fase portante è suddivisibile in:
A) Appoggio calcaneare (ricezione)
Al contatto del calcagno con la superficie di appoggio (ricezione), l’elica si rilascia per consentire la lassità del piede atta ad ammortizzare il peso del corpo e ad adattarsi alla superficie stessa. A tal fine l’arto inferiore ruota internamente, l’astragalo, ad esso solidale, ruota quindi anch’esso internamente (supinando), il calcagno prona, ruotando esternamente. L’assunzione del peso da parte del piede è graduale ed è massima nel momento in cui la linea gravitaria cade nel centro della superficie podalica.
B) Appoggio totale (contatto)
Quando tutta la superficie plantare è a contatto con la superficie, la rotazione (Fig. 3) interna dell’arto si trasforma bruscamente in rotazione esterna. Ciò fa scattare il meccanismo che ha come sede l’articolazione sotto-astragalica.

Fig. 3

Seguendo la rotazione dell’arto, l’astragalo ruota sul piano trasverso esternamente (per circa 12° mediamente) pronando e risalendo al di sopra del calcagno (allontanandosi dal legamento calcaneo-scafoideo-plantare). A sua volta il calcagno ruota internamente, supinando attorno all’asse di compromesso (asse “momentaneo” attorno al quale avviene il processo di prono-supinazione dell’a: il retropiede si verticalizza tramite l’avvitamento reciproco astragalo-calcaneare. Il cuboide, tenacemente collegato al calcagno, migra plantarmente assumendo “sulle sue spalle” la serie dei cuneiformi. L’avampiede si dispone in contrasto rotatorio con il retropiede per la reazione al suolo. Si ha così l’avvolgimento dell’elica podalica e il conseguente “inarcamento” del piede: l’articolazione medio-tarsica è bloccata e si ha il contemporaneo passaggio del peso sul IV e V metatarso per eversione dell’avampiede non ancora rigido. Il muscolo peroniero lungo (lungo peroneo) richiama a contatto col suolo la testa del I metatarso eseguendo un lavoro di stabilizzazione facendo si che il peso sia ora distribuito su tutte le teste metatarsali (ventaglio metatarsale); il piede si trasforma da elica in rigida “barra di leva”.
C) Appoggio digitale (propulsione)
Il calcagno si solleva dal terreno. Le dita dopo essersi adattate tenacemente alla superficie di appoggio si flettono dorsalmente. Ciò fa sì che la aponeurosi plantare si accorcia tendendosi di circa 1 cm (le digitazioni dell’aponeurosi plantare raggiungono le falangi basali corrispondenti, connettendosi al periostio, nei segmenti adiacenti alle articolazioni) innescando il meccanismo dell’argano che completa la coesione intrapodalica. Il centro di gravità del corpo migra ventralmente e il corpo si avvia a cadere in avanti. L’intervento del controllo muscolare, in particolare del muscolo tricipite surale, formato da gastrocnemio e soleo (oltre al tibiale anteriore, tibiale posteriore, peroneo lungo e flessori dorsali) e il tempestivo contatto controlaterale, esercitano azione da freno.
Nella fase propulsiva le forze intrinseche agenti sul piede sono pari a 3-4 volte il peso del corpo. In situazione di corretta fisiologia il piede si comporta a elica in modo tale che la proiezione a terra del baricentro corporeo resti perlopiù centrata ossia passi lungo il proprio asse, che corrisponde all’incirca all’asse podalico, asse passante centralmente al retropiede e al centro tra II e III dito (Paparella Treccia 1978, Pacini 2000).
Quando il ginocchio è in flessione sono possibili movimenti della gamba sia in lateralità (di 1-2 cm alla caviglia) che in rotazione assiale (rotazione esterna di 5°). Ciò risulta necessario per consentire un ottimale appoggio del piede in rapporto all’irregolarità del terreno. In estensione completa invece il ginocchio, essendo sottoposto a importanti forze di carico, presenta, in condizioni fisiologiche, una grande stabilità; si verifica pertanto un blocco articolare che solidarizza la tibia al femore (Kapandji 2002). Pertanto, in condizione di flessione, il ginocchio è in grado di “filtrare” le rotazioni del piede e della gamba mentre, quando esso è completamente esteso, tali rotazioni si trasferiscono integralmente al femore influenzando di conseguenza ilcingolo pelvico (in particolare, l’articolazione coxo-femorale e l’articolazione astragalo-scafoidea sono analogamente strutturate e corrispondentemente disposte).
La rotazione del femore sul piano trasverso comporta una spinta meccanica da parte della superficie articolare del collo femorale sull’acetabolo, la messa in tensione di determinati legamenti dell’anca e lo spostamento dei baricentri degli emisomi (centri di pressione). Così, ad esempio, una intrarotazione del femore può passivamente determinare un’iniziale anteversione (anterior tilt) dell’emibacino corrispondente e, in seguito alla messa in tensione dei legamenti posteriori (legamento ischio-femorale) e dello spostamento anteriore del baricentro dell’emisoma corrispondente, una rotazione del bacino che segue quella del femore. Viceversa, una extrarotazione del femore può indurre retroversione dell’emibacino omolaterale seguita da una corrispondente rotazione del bacino per tensione dei potenti legamenti anteriori (in particolare il fascio superiore del legamento ileo-femorale, denominato l’ileo-pretrocanterico, e il pubo-femorale) e spostamento posteriore del baricentro dell’emisoma relativo.

Nella posizione di riferimento i legamenti dell’anca (Fig. 4) sono moderatamente tesi. Nella rotazione esterna tutti i forti legamenti anteriori sono tesi (la tensione è massima a livello dei fasci a decorso orizzontale ossia l’ileo-pretrocanterico e il legamento pubo-femorale) mentre quelli posteriori (legamento ischio-femorale) è deteso. Nella rotazione interna avviene l’inverso, il legamento ischio-femorale si tende mente i legamenti anteriori si rilasciano (Kapandji 2002).

 

Fig. 4

La rotazione del bacino si riflette direttamente a livello del rachide lombare (FIG. 5).

Fig. 5

La struttura legamentosa e ossea delle vertebre nonché le caratteristiche di “energy converter” del disco intervertebrale fanno si che sulla colonna vertebrale agisca una “coppia di forze” (coupled motion) (Fig. 6).

Fig. 6

Ciò corrisponde al primordiale e primario bisogno del rachide di ruotare le pelvi nell’atto della locomozione (Gracovetsky, 1988). Pertanto la flessione laterale del tratto lombare si associa sempre a una rotazione vertebrale e viceversa (White & Panjabi, 1978). La modesta capacità di rotazione del tratto lombare (5°, Kapandji 2002) “impone” l’utilizzo di parte del dorso (in grado ruotare per circa 30°, Kapandji 2002), ad esempio, durante la deambulazione.
Affinché però lo sguardo possa dirigersi sempre verso l’orizzonte a livello delle spalle e del tratto dorsale superiore (da D8 in su) necessita una contro-rotazione e una flessione laterale opposta (rispetto al tratto rachideo inferiore e al bacino).
L’atteggiamento scoliotico dell’elica rachidea così come quello del piede piatto (elica podalica svolta) e valgo (elica podalica avvolta) rappresentano quindi fenomeni fisiologici transitori tra loro connessi e divengono patologici solo quando si manifestano in maniera stabile.
Nel contesto della biomeccanica e della patomeccanica, si evidenzia quindi un robusto ponte che connette il piede ai segmenti corporei soprastanti sino a raggiungere potenzialmente le articolazioni cervico-occipitale temporo-mandibolari e viceversa, interessando tramite la rete di tensegrità mio-connettivale l’intero organismo.

BIBLIOGRAFIA

  • Gracovetsky S.: The Spinal Engine – Springer-Verlag/Wien (1988)
  • Kapandji I.A.: Fisiologia articolare – Maloine Monduzzi Editore (2002)
  • Pacini T.: Studio della postura e indagini baropodometrica – Chimat (2000)
  • Paparella Treccia R.: Il piede dell’uomo – Verduci Editore (1978)
  • White A.A., Panjabi M.M.: Clinical Biomechanics of the Spine – Lippincott (1978)

 

Note sull’autore:
Il Dr. Giovanni Chetta è Alimentarista a indirizzo biochimico, Massofisioterapista, Posturologo Ergonomista (iscritto all’albo specialistico A.S.Bio.P.), Istruttore MBT e Master Practitioner in Programmazione Neuro-Linguistica.
Collabora in campo posturologico con l’Università Charitè di Berlino, l’equipe di Biomedica Posturale e l’Accademia MBT.
Collabora con riviste e giornali del settore.
Conduce corsi su: posturologia, ginnastica posturale, massaggio (bodywork).
Presidente dell’Associazione Culturale – Sportiva AssoTIB (Alfa/CSAIn/CONI).

**

L'articolo PIEDE E POSTURA: UN LEGAME INSCINDIBILE sembra essere il primo su Sport e Medicina.

7-8 Aprile 2018 – Allenamento della forza e ricondizionamento muscolare post-infortunio

$
0
0

EDI-Academy (www.ediacademy.it)

Allenamento della forza e ricondizionamento muscolare post-infortunio

7-8 Aprile 2018 – Milano, Italia

Nella nostra evoluzione la forza ha avuto un ruolo importante per la sopravvivenza. Oggi in un ambiente meno selettivo, la forza muscolare ha perso la sua importanza primordiale. La forza è allenata sia per potenziare le prestazioni sia come mezzo per rendere il corpo “scolpito” e attraente; in campo rieducativo e riabilitativo per produrre il corretto movimento. Tra svariate metodiche sviluppate nel corso degli anni come riconoscere le più efficaci per le proprie esigenze? Il corso di Giovanni Gandini (Dottore in Scienze motorie, Docente a.c. Facoltà di Scienze della Formazione, Università Cattolica del Sacro Cuore) e Fabio Pilori (Dottore in Scienze motorie, tecnico specialista FIDAL) porterà i frequentanti a conoscere la forza nelle sue espressioni e a utilizzare le metodologie di allenamento specifiche per il morfotipo, valutando vantaggi e svantaggi delle metodologie più utilizzate per programmare il potenziamento muscolare a tutte le età, nella rieducazione motoria e nel ricondizionamento post-infortunio di sportivi.

Segreteria Organizzativa Edi.Ermes
Tel. 02.70.21.12.74 – Fax 02.70.21.12.83

e-mail formazione@eenet.it
www.ediacademy.it
www.eenet.it

ACCREDITAMENTO ECM
(16 CREDITI FISIOTERAPISTI)

11119754_827540930628116_2641104293768380644_n

L'articolo 7-8 Aprile 2018 – Allenamento della forza e ricondizionamento muscolare post-infortunio sembra essere il primo su Sport e Medicina.

CALZETTI & MARIUCCI Editori – Novità

$
0
0

calzetti1

DIVENTARE AGILI E FORTI COME UN LEOPARDO
Kelly Starrett

DESCRIZIONE – Un manuale di grande efficacia per risolvere le sindromi dolorose, prevenire gli infortuni e ottimizzare la prestazione sportiva

L’autore si è posto l’obiettivo di creare, con questo manuale, un sistema onnicomprensivo sulla tematica del movimento umano, finalizzato al miglioramento della prestazione sportiva e alla risoluzione delle problematiche e delle disfunzioni motorie fonti di limitazioni della performance e di infortuni. Nel contempo Kelly Starrett ha voluto fornire ai soggetti interessati gli strumenti necessari per il miglioramento della mobilità, per la prevenzione e il trattamento di lesioni e sindromi dolorose. Tutto ciò attraverso un sistema, evoluto e perfezionato nel tempo, ed estremamente convincente nella proposta di idee e tecniche di facile apprendimento, assimilazione e messa in pratica. A una esauriente sezione introduttiva su principi e linee-guida del progetto, fa seguito la trattazione delle corrette tecniche degli esercizi (squat, piegamenti, girate ecc.) da utilizzare e quella ricchissima sulle tecniche di mobilizzazione (mobs) finalizzate all’eliminazione del dolore e a migliorare la postura; nella parte finale Starrett illustra le prescrizioni di mobilità intese come assemblaggio ottimale dei mobs. L’opera è uno strumento di lavoro di assoluta originalità che offre soluzioni procedurali praticamente infinite per tutti gli specialisti del fitness, dello sport e della riabilitazione ed è utilizzabile, per chiarezza e semplicità di linguaggio, anche da tutti gli appassionati.

calzetti2

PROGRAMMAZIONE E DIARIO ANNUALE DI ALLENAMENTO FUNZIONALE
Luca Dalseno

DESCRIZIONE – 52 settimane di lavoro – oltre 200 work-out, tutti diversi tra loro

Diario di allenamento, basato sull’utilizzo di esercizi del Functional Training, che copre un anno intero di lavoro e strutturato su 52 settimane con tre allenamenti a settimana più una seduta jolly. Ogni seduta viene illustrata con una rappresentazione fotografica degli esercizi da svolgere, per ognuno dei quali vengono suggerite serie, ripetizioni e intensità di lavoro espressa percentualmente sulla massima prestazione. Vengono indicati anche i tempi di recupero per ogni attività, completando così un quadro di lavoro che è stato collaudato dall’Autore personalmente e testato su atleti amatori e professionisti di varie specialità sportive: su di essi, l’intero programma ha permesso un notevole miglioramento di tutte le tipologie di abilità atletiche.

calzetti3

IL METODO DELLO STRETCHING GLOBALE ATTIVO – SGA
Philippe Souchard

DESCRIZIONE – Le autoposture e le autoposture respiratorie della Rieducazione Posturale Globale – RPG

Le autoposture dello SGA-Stretching Globale Attivo, suggerite nel manuale dall’ormai celebre Philippe Souchard, sono state inizialmente ideate per una applicazione nello sport: il loro obiettivo era la preparazione allo sforzo, la prevenzione delle lesioni e il recupero dopo l’attività motoria, con risultati, anche in termini di miglioramento della performance, che hanno superato immediatamente le aspettative. Quando poi sono state chiaramente sistematizzate, si è iniziato ad applicarle anche ai soggetti non sportivi: attualmente si riscontra che l’80% delle lesioni dolorose muscolo-scheletriche siano dovute alle alterazioni della morfologia corporale da posture associate alle attività lavorative e si raccomandano forme di attività fisica che sono indiscutibilmente necessarie ma non sprovviste di inconvenienti, poiché, non si oppongono totalmente agli accorciamenti muscolari, e lo Stretching Globale Attivo può evitare gli inconvenienti in cui si può incorrere durante le attività quotidiane e aiutare a prevenirne gli effetti negativi.

calzetti4

STRENGHT TRAINING
Valerio Vaccaro, Enrico Bomboletti

DESCRIZIONE – Progressione didattica per l’insegnamento degli esercizi di forza: squat, panca piana, stacco da terra e loro varianti

Scopo del manuale è quello di fornire una metodologia didattica ad allenatori e personal trainer che approccino l’insegnamento degli esercizi di forza e delle loro varianti, ai loro clienti e ad atleti alle prime armi. Obiettivi speciali i particolari a cui dare attenzione nella valutazione nell’esecuzione del gesto, la selezione delle priorità imprescindibili perché lo stesso risulti efficiente ed efficace, il riconoscere le problematiche inerenti alla tecnica esecutiva e il saper correggere i difetti attraverso una osservazione critica del movimento. Un complesso di elementi che possono elevare i livelli qualitativi di un allenatore e di un personal trainer nella ricerca della massima efficacia lavorando in totale sicurezza. Argomenti principali trattati lo squat, la panca piana, lo stacco da terra, l’utilizzazione delle resistenze applicate all’alzata e la programmazione di base con relative sezioni dedicate ai rispettivi insegnamenti, suggerendo set-up, posizionamenti e fasi progressive. Uno strumento molto curato e completo per tutti gli addetti ai lavori che presenta nell’impostazione caratteri di assoluta attualità e livelli di modernità che nulla hanno da invidiare ai più apprezzati manuali presenti nella letteratura internazionale. Una guida teorico-pratica che risulterà utilissima agli operatori del fitness per interfacciarsi con allievi e clienti, e per gli stessi appassionati che potranno trovare nella chiarezza espositiva del testo le risposte ai numerosi quesiti che l’argomento suggerisce.

calzetti5

LA RIATLETIZZAZIONE
Mathieu Chirac

DESCRIZIONE – I grandi principi

La gestione degli infortuni e già stata oggetto di numerose trattazioni in altre opere, nella maggior parte dei casi da parte di professionisti con specializzazioni in medicina, kinesiterapia, osteopatia. Appare evidente, esaminando questi lavori, che i principi della rieducazione riguardanti le patologie degli sportivi sono ben note a tutti loro. Lo sportivo infortunato costituisce pero un caso a sé e presenta altri diversi requisiti ed esigenze. Si pone in particolare ii problema delle procedure di riatletizzazione e di reintegro delle risorse fisiche ai loro massimi livelli, all’interno del processo di ritorno alla pratica sportiva. Questa manuale, elaborato sulla base di osservazioni e riflessioni dell’autore raccolte nel corso della propria attività sul campo, si propone di mettere in evidenza qualche principio metodologico sull’approccio al lavoro di recupero atletico e vuole essere una guida per gli operatori del settore. Mathieu Chirac e il responsabile de/la sezione specializzata in riatletizzazione presso l’INSEP (Institut National du Sport, de l’Expertise e de la Performance) di Parigi.

calzetti6

WARM UP E MODERNI APPROCCI ALL’ALLENAMENTO
Mario Marella, Massimo Gulisano, Marta Radini, Paolo Spicuglia, Paolo Bosi

DESCRIZIONE – La metodologia PAP – Post Activation Motivation

Dopo aver esaminato nella letteratura nazionale ed internazionale la fase del riscaldamento (warm up) e aver trovato dei principi base, gli Autori notano come in realtà tale fase presenti un gran numero di varianti metodologiche e didattiche orientate verso esigenze tecniche sport-specifiche, fisiologiche e psicologiche diverse. Si è stabilito dunque l’obiettivo di immettere nel circuito dei tecnici dello sport una metodica sperimentata che usasse alcune strategie già presenti nella letteratura. Il libro vuole spiegare i vantaggi e svantaggi di questa tecnica collaudata da circa 40 anni, ma che recentemente ha acquistato popolarità e importanza nel campo della performance atletica perché offre un nuovo approccio per ottimizzare la produzione di forza e di potenza nel gesto sportivo: la PAP (Post Activation Potentiation) infatti è una metodica di approccio all’allenamento che viene qui proposta come warm up negli sport di potenza. Nella parte finale del libro, il lettore troverà esempi di programmi di warm up creati sulla base dei principi e dei concetti illustrati e proposti dopo esperienze e studi applicativi che possono dare spunto ad una diversa visione e offrire ad allenatori, istruttori, docenti di Educazione fisica, esempi e strumenti per una nuova concezione del riscaldamento.

calzettiemariuccinovità

Leggi la nuova informativa sulla privacy, ai sensi dell’ART. 13 del Regolamento UE 2016/679

Per informazioni e ordini
+39 075-5997310
e-mail: info@calzetti-mariucci.it

L'articolo CALZETTI & MARIUCCI Editori – Novità sembra essere il primo su Sport e Medicina.

7-8 Aprile 2018 – Allenamento della forza e ricondizionamento muscolare post-infortunio

$
0
0

EDI-Academy (www.ediacademy.it)

Allenamento della forza e ricondizionamento muscolare post-infortunio

7-8 Aprile 2018 – Milano, Italia

Nella nostra evoluzione la forza ha avuto un ruolo importante per la sopravvivenza. Oggi in un ambiente meno selettivo, la forza muscolare ha perso la sua importanza primordiale. La forza è allenata sia per potenziare le prestazioni sia come mezzo per rendere il corpo “scolpito” e attraente; in campo rieducativo e riabilitativo per produrre il corretto movimento. Tra svariate metodiche sviluppate nel corso degli anni come riconoscere le più efficaci per le proprie esigenze? Il corso di Giovanni Gandini (Dottore in Scienze motorie, Docente a.c. Facoltà di Scienze della Formazione, Università Cattolica del Sacro Cuore) e Fabio Pilori (Dottore in Scienze motorie, tecnico specialista FIDAL) porterà i frequentanti a conoscere la forza nelle sue espressioni e a utilizzare le metodologie di allenamento specifiche per il morfotipo, valutando vantaggi e svantaggi delle metodologie più utilizzate per programmare il potenziamento muscolare a tutte le età, nella rieducazione motoria e nel ricondizionamento post-infortunio di sportivi.

Segreteria Organizzativa Edi.Ermes
Tel. 02.70.21.12.74 – Fax 02.70.21.12.83

e-mail formazione@eenet.it
www.ediacademy.it
www.eenet.it

ACCREDITAMENTO ECM
(16 CREDITI FISIOTERAPISTI)

11119754_827540930628116_2641104293768380644_n

Viewing all 69 articles
Browse latest View live


<script src="https://jsc.adskeeper.com/r/s/rssing.com.1596347.js" async> </script>